giovedì, 28 Marzo 2024
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Petrolio: Il basso Veneto non è il Texas

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Che il basso Veneto potesse essere il Texas di domani non lo immaginava nessuno, tranne gli americani. Infatti, è a “stelle e strisce” la multinazionale, AleAnna Resources, che nelle scorse settimane ha inoltrato a buona parte dei comuni della nostra regione, e a quelli dell’Emilia Romagna, un’istanza di permesso per condurre ricerche nel sottosuolo con lo scopo di individuare giacimenti di petrolio e o di metano. Da Chioggia alla Bassa Padovana e dal Polesine oltre al ferrarese, su una superficie di oltre 1.220 chilometri quadrati, i dati già in possesso dalla multinazionale rilevano tutte le caratteristiche geo-minerarie per poter essere di notevole interesse. Insomma: la scoperta dell’acqua calda, che non deve essere sfuggita agli esperti soprattutto nell’area termale di Abano-Montegrotto, nel senso che la presenza di idrocarburi negli strati più profondi della nostra terra è cosa assai nota da tempo ma quello che sfugge alla AleAnna Resources, forse, sono le conseguenze che le estrazioni potrebbero comportare. Ripercussioni che invece le nostre amministrazioni conoscono molto bene e tra queste la più preoccupante, soprattutto per il territorio deltino e veneziano, si chiama subsidenza: ossia l’avallamento del terreno sotto il livello del mare. Per questo molte amministrazioni locali sono già sulle barricate, come a Megliadino San Vitale, nel Montagnanese, dove il Consiglio comunale ha già deliberato la contrarietà alle attività di ricerca e di estrazione anche se con il “decreto energia”, approvato dal Governo nazionale nel ’99, la decisione finale in materia di estrazioni petrolifere spetta esclusivamente al Ministero per lo sviluppo economico, mentre alla Regione compete il parere vincolante legato alla Valutazione d’impatto ambientale. Le stesse preoccupazioni delle amministrazioni sono state condivise anche da diverse associazioni o movimenti, come quello a 5 stelle, che fiutato il pericolo hanno promosso banchetti per la raccolta firme. Pericoli che l’esperta di inquinamento da idrocarburi, Maria Rita D’Orsogna, attualmente docente dell’University Northridge Mathematics Department di Los Angeles, in California, non ha trascurato di evidenziare anche se riferiti a identiche attività già in corso in Basilicata. “Le sostanze chimiche utilizzate per le trivellazioni — ha spiegato – restano nel terreno e si infiltrano nelle falde acquifere, inquinandole con materiali tossici. Anche perché l’opera di estrazione necessita di molta acqua ad alta pressione, che molto spesso e’ caratterizzata da presenza di idrocarburi, composti organici, metalli, sali e altre sostanze chimiche di lavorazione. La sua elevata salinità può, inoltre, cambiare la composizione chimica del terreno, riducendone qualità e fertilità. In Basilicata, tra l’altro, esistono posti dove l’acqua non è più potabile, a causa dell’attività estrattiva, come ad esempio presso le sorgenti “Acqua sulfurea”, “Acqua la Vecchia” e “Acqua Piano la Cerasa di Calvello” o “l’Acqua dell’Abete’ attualmente sotto sequestro per inquinamento e c’è chi pensa sia dovuto a causa di infiltrazioni di sostanze tossiche dal vicino pozzo estrattivo Cerro Falcone, dell’Eni”. Insomma le preoccupazioni non mancano e non solo in Veneto, infatti, le richieste e le operazioni di trivellazione si registrano un po’ in tutta Italia. A richiamare l’attenzione delle grandi multinazionali del petrolio nel nostro paese pare sia la legislazione vigente in quanto le royalties (diritti d’estrazione incamerati dallo Stato) sono tra le più basse del mondo e oscilano tra il 4%, 7% per il gas, mentre in media negli altri Paesi sono tra il 30 e il 70 %.