venerdì, 29 Marzo 2024
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Quando Raoul Casadei 40 anni fa veniva a suonare, vestito di bianco, nei locali di Vicenza…

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I ricordi di Piero Collareda che al tempo presentava l’orchestra nelle discoteche in voga: dal Boom di Alte al Nordest di Caldogno, fino ai veronesi Lem e Cupole

Nella foto, Collareda sul palco con l'orchestra Casadei
Nella foto, Collareda sul palco con l’orchestra Casadei

Raoul Casadei, scomparso per covid qualche giorno fa a 83 anni, ha suonato spesso nel Vicentino sin dagli anni Settanta. Lo ricorda bene Piero Collareda, attualmente amministratore delegato dello Schio hotel a Schio ed enogastronomo di vaglia da decenni. Alla fine degli anni Settanta, Collareda era già maitre al Miramonti, gestito da Cesare Talin e dalla sua famiglia, ma aveva anche un’altra grande passione: era un disc jockey e un intrattenitore conosciuto, con tanto di audizione a Telemilano, la prima tv di Berlusconi. Grazie alla sua parlata senza accenti e alla sua indubbia capacità di fascinazione (che ha mantenuto limpida fino a oggi) spopolava sulle radio libere, che erano la grande novità di quegli anni dopo la sentenza della Corte costituzionale del 1975 che aveva liberalizzato l’etere, sganciando le trasmissioni radio-tv dal giogo monopolistico della Rai.

“Montavano loro il palco e lo smontavano a fine concerto. Poi si andava a cena, magari alle due di notte al Ponte di Liviera di Umberto e Teresa Zocca”

Nella foto, Collareda in "total white" assieme a Raoul e alla cantante Rita Baldoni
Nella foto, Collareda in “total white” assieme a Raoul e alla cantante Rita Baldoni

Ben conosciuto nei locali e nelle discoteche, Piero Collareda è ancora oggi un presentatore efficace. Quarant’anni fa, quando risalgono i suoi ricordi con Raoul Casadei, era di casa nei locali che andavano per la maggiore nel Vicentino. Ad Alte Ceccato c’era il “Boom” di Renzo Facchini, a Caldogno il “dancing Nordest” e a Marano Vicentino il “Ciao ciao”, questi ultimi di proprietà di Mario Michele Piazza, scomparso a Creazzo dove abitava a 89 anni nel 2018. In particolare il “Nordest” era battezzato “Ca’ del lisco” ed era il tempio nel Vicentino di quel genere, al quale anche oggi dà spazio e che trova molti appassionati. Allora, proprio sulla scia del successo di Casadei, il Nordest richiamava folle. Per questo motivo, l’orchestra-spettacolo di Raoul Casadei era davvero di casa a Caldogno, celebre allora anche per i jeans della Ufo.

Nella foto, Piero Collareda con la moglie Margherita Zordan, allora fidanzata; il look da "Febbre del sabato sera" di John Travolta era molto di moda
Nella foto, Piero Collareda con la moglie Margherita Zordan, allora fidanzata; il look da “Febbre del sabato sera” di John Travolta era molto di moda

Erano gli anni del boom delle discoteche, sull’onda di un altro successo, quello di John Travolta con “La febbre del sabato sera”. Il suo look andava di moda: completo candido con giacca dai reverse accentuati, magari rosa. Così si presentava Raoul al pubblico. E poi si muoveva, lui e l’orchestra, con un pullman colorato e il nome sulla fiancata, aspetto che aumentava il suo fascino. Ricorda Collareda: “Andavo ad attenderli al casello dell’autostrada per portarli al locale. Entrare nel pullman e sedersi accanto a Raoul mi faceva sentire importante: figuriamoci, avevo 25 anni e il mondo da conquistare. Lui era una persona squisita e aperta. Ero fidanzato con Margherita, che poi diventò mia moglie e lo è tuttra. Io ero in pullman e lei in auto ci seguiva. Raoul era la solarità della Romagna impersonificata, estro e buonumore mescolati assieme”.

Ecco una delle foto scattate a mattina ormai fatta al Ponte di Liviera. La titolare Teresa è accanto a Casadei. Il marito. Umberto Zocca è riconoscibile poco distante con la maglia a righe, Collareda e la moglie sono al centro in prima fila
Ecco una delle foto scattate a mattina ormai fatta al Ponte di Liviera. La titolare Teresa è accanto a Casadei. Il marito. Umberto Zocca è riconoscibile poco distante con la maglia a righe, Collareda e la moglie sono al centro in prima fila

Prosegue Collareda: “Avevano un paio di tecnici ma loro personalmente montavano il palco. E poi lo smontavano a fine spettacolo. Raoul era meticoloso, ma di enorme simpatia. Arrivavano al pomeriggio, e mandavano a prendere pizze o panini; mangiavano nei camerini o nei pullman dove apparecchiavano tavolini di fortuna. La cena vera era all’una e mezza o alle due di mattina, finito lo show e sgomberato il palco. Andavamo a mangiare al Ponte di Liviera di Umberto e Teresa Zocca che ci aspettavano pazienti. Alla fine scattavamo anche le foto”.

Piero ricorda le esibizioni dell’orchestra Casadei al “Lem” di San Martino Buon Albergo, alle “Cupole” di Soave, locale dove presentò anche Ivan Graziani e Gino Paoli: “Paoli usciva sul palco con la sigaretta tra le labbra e poggiava un bicchiere di whisky sul pianoforte”. Al “Boom” e al “Nordest” l’orchestra naturalmente faceva sempre centro: “Mi chiamava Piazza e io, oltre a presentare i musicisti, intervistavo le persone a bordo pista che erano venute ad ascoltare Casadei. Lui le salutava dal palco: era una sorta di riconoscimento sociale per l’imprenditore Tizio, il professionista Caio”.

Nella foto, brindisi di fine concerto tra Piero Collareda e Raoul Casadei
Nella foto, brindisi di fine concerto tra Piero Collareda e Raoul Casadei

L’organizzazione dell’orchestra, forte di una dozzina di musicisti e cantanti, era fondata sulla forma giuridica della cooperativa, secondo la tradizione contadina emiliano-romagnola. Oltre a suonare, ogni musicista curava un aspetto, dalla logistica ai manifesti: “Ricordo Rita Baldoni e poi Luana Babini le cantanti del tempo. E il violinista Enzo D’Asmara, componente dell’orchestra dai tempi di Ciao mare; era esperto anche di pubbliche relazioni. Aveva sposato una donna di Recoaro: per quel motivo i colleghi, scherzando, lo chiamavano gingerino. Comunque, per i suoi orchestrali la cooperativa realizzava anche le case dove abitavano: le ho viste di persona in Romagna”.

 

 

Prima di allestire la sua orchestra, Raoul Casadei aveva insegnato diciassette anni alle scuole medie nel foggiano, dove aveva conosciuto sua moglie, peraltro napoletana, Maria Giuseppina Sirgiovanni: “Lavoravano anche 300 giorni all’anno, magari con due concerti al giorno – sottolinea Collareda – Il suo merito è stato di aver sdoganato il liscio, liberandolo dall’idea di una musica da sagra. Lui è riuscito a distillarla, a trasformarla. Ha avuto fortuna nelle radio e nelle televisioni private e l’ha sfruttata al massimo. Ha tradotto il liscio in un linguaggio nuovo. Non era più la musica del vecchio paese, ma, attingendo a quelle radici, l’aveva trasformata in una musica popolare in senso buono e innovativo”.

Antonio Di Lorenzo