giovedì, 25 Aprile 2024
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Vicenza, l’identikit della donna molestata sul lavoro: giovane, mamma e precaria

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Parla Francesca Lazzari, la nuova consigliera di parità: “Sono parecchi i casi che in poco tempo mi hanno sottoposto”

Sono giovani, mamme e con impieghi precari le donne vicentine che denunciano discriminazioni sul lavoro e le chiedono tutela. Hanno contratti a tempo determinato o part time, turni poco flessibili, poca possibilità di conciliare lavoro e famiglia. In più, subiscono apprezzamenti fuori luogo, quando va bene. E a volte peggio. Sono numerosi e complessi i problemi delle donne che lavorano raccolti in queste poche settimane da Francesca Lazzari, nuova consigliera di parità della Provincia di Vicenza da poche settimane. Lei è ben conosciuta a Vicenza per il suo impegno amministrativo (nelle giunte Quaresimin e Variati) che ha affiancato al lavoro come docente universitaria di economia.

Quante denunce ha raccolto dal suo insediamento?

Dal 9 gennaio ho concluso due interventi di conciliazione e ora sto lavorando ad altri due casi.

Mica pochi. Di cosa trattano?

Cerco una conciliazione extragiudiziale nelle controversie individuali di lavoro che riguardano discriminazioni di genere, ma anche vere e proprie vessazioni e molestie.

Che situazioni sono?

Dalle discriminazioni nell’accesso al lavoro di giovani donne, alle molestie fino a lavori intermittenti poco retribuiti e non tutelati. Si tratta di problematiche emerse anche nel report 2019 della Cgil dedicato al Gender Pay Gap in cui s’è riscontrato che nel Veneto le retribuzioni delle donne sono inferiori del 35% rispetto a quelle uomini. Resiste lo stereotipo secondo cui il lavoro femminile vale meno di quello maschile perché dedichiamo attenzioni e cure alla famiglia e la maternità non è riconosciuta come valore, ma come una penalità.

Quali sono i settori interessati dalle discriminazioni?

Impieghi stagionali in settori fortemente colpiti dalla pandemia come ristorazione, alberghiero, pulizie, turismo, cultura e spettacolo.

Cosa l’ha colpita dei casi seguiti?

L’età. Sono giovani sotto i trent’anni, che affrontano il mondo del lavoro da poco tempo e in situazioni di precarietà. Hanno studiato, alcune sono mamme. Arrivano da tutte le fasce sociali, non solo da quelle deboli. Trovano lavori intermittenti, ripetitivi e poco retribuiti che non permettono loro neanche di avere una previdenza seria.

Come ha aiutato queste donne?

Arrivano da me consigliate dai sindacati e senza molti mezzi economici. Di solito agisco sul piano legale confrontandomi con avvocati, sindacati e aziende per cercare una mediazione. Non fornisco supporto psicologico, ma indico sportelli di associazioni femminili del territorio che possono starle a fianco anche in caso di molestie. Per questi casi particolari intervengo negli ambienti di lavoro per spiegare che molestie sono anche parole e apprezzamenti fuori luogo.

La pandemia ha portato molte donne a scegliere fra lavoro e famiglia. Perché?

Perché c’è stato un progressivo incremento del lavoro in casa mentre i servizi per bambini, disabili e anziani sono insufficienti. Da sempre le donne si sono fatte carico di curare la famiglia: nel momento in cui hanno bimbi piccoli, le donne scelgono il part time perché costrette, mentre dai 50 anni si prendono cura dei genitori. Il Covid ha scoperchiato e ha esasperato profonde differenze di genere nel mercato del lavoro.

Perché sono ancora poche le donne che diventano manager nelle aziende?

Perché sono ancora poche le imprese che valorizzano le qualità di collaborazione, fiducia, capacità di relazione delle donne. Secondo l’Istat in Italia solo il 27% delle donne riesce a raggiungere ruoli dirigenziali. Nel 2019 l’Unioncamere ha certificato che solo un’impresa su cinque è guidata da donne. Ma un dato positivo arriva dalle start up femminili: in Italia sono il 12%, più che in Francia (9%) e in Germania (11%).

Secondo lei il gender gap inizia a scuola?

Le ragazze sono più istruite degli uomini e rappresentano il 59,3% degli iscritti a dottorati, ma sono in minoranza nei corsi di laurea scientifico-tecnologici. Rappresentano il 40% dei docenti e dei ricercatori ma solo il 23% dei professori ordinari. C’è però una limitazione dei tipi di studio, perché la società spesso spinge le ragazze a scegliere quei percorsi formativi che si traducono in lavori adatti a conciliare lavoro e famiglia.

L’11 febbraio si è celebrata la giornata dedicata alle donne della scienza: cosa si è fatto nel Vicentino?

L’Accademia Olimpica ha proposto conversazioni con socie scienziate in streaming. Personalmente promuoverei ancora iniziative simili.

Che obiettivi si è posta per il suo mandato?

Far conoscere il mio ruolo con incontri di educazione civica nelle scuole, ma anche nei luoghi di lavoro. Ho in programma incontri con sportelli territoriali, sindacati e associazioni di categoria per costruire buone pratiche. Ci serve una rete territoriale coesa tra tutti gli sportelli che si occupano di donne e pari opportunità, ma anche un riconoscimento vero dal Governo che permetta di avere risorse economiche per farci operare al meglio.

I fondi del Recovery Fund fanno sperare?

Sì. I fondi serviranno per riequilibrare il mercato del lavoro, potenziare i servizi alle famiglie, colmare le differenze di genere e garantire pari opportunità. Ma dobbiamo vigilare. Per questo ho aderito alla petizione “Il Giusto Mezzo”, promossa da associazioni femminili italiane ed europee, e ho preso parte a una conferenza che ha coinvolto altri 300 rappresentanti di enti locali di tutta Italia, per la creazione di commissioni che vigilino sull’assegnazione delle risorse economiche. (Sara Panizzon)