giovedì, 28 Marzo 2024
HomeNazionaleFisco, Veneto 16esimo in Italia per evasione. E lo Stato ci controlla...

Fisco, Veneto 16esimo in Italia per evasione. E lo Stato ci controlla attraverso 161 banche dati fiscali

Tempo di lettura: 3 minuti circa

Fisco, c’è bisogno di una nuova impostazione per vincere la battaglia dell’evasione

Giuseppe de Concini, consulente d’impresa con esperienza trentennale

La stima emersa dai dati Istat – relativi all’anno 2018 – circa l’evasione fiscale nel nostro paese, ha determinato in 109,8 miliardi di euro, pari a 6 punti percentuali del pil nazionale, il gettito sfuggito allo Stato. In parole semplici ogni 100 euro di gettito incassati dall’erario, ce ne sono stati mediamente altri 15 che sono rimasti nelle tasche degli evasori.

Elaborando i dati Istat disponibili, l’Ufficio studi della Cgia di Mestre ha stilato una “classifica” circa la suddivisione per regioni dei dati dell’evasione fiscale.

Al primo posto (con un’incidenza dell’evasione pari a 24,5 euro evasi ogni 100 euro versati al fisco) vi è la Calabria, seguita a ruota da Campania (22,7 euro evasi su 100 euro versati al fisco), dalla Sicilia (22,2 euro evasi ogni 100 euro versati) e dalla Puglia (22,0 euro evasi ogni 100 euro versati).

A seguire Molise, Umbria, Sardegna, Abruzzo e Marche.

Il Veneto è sedicesimo (con 11,2 euro evasi ogni 100 versati) a pari merito con l’Emilia Romagna.

Se, come tendenza generale nazionale, negli ultimi dieci anni di rilevazioni, l’ammontare complessivo dell’evasione fiscale risulta in calo, tuttavia appare evidente come l’imponente varietà di strumenti pensati e messi in campo per contrastare il fenomeno non abbia conseguito il risultato sperato.

Il fisco in Italia è peggio del Grande Fratello orwelliano

Eppure il fisco controlla il contribuente italiano mediante ben 161 banche dati, un apparato denominato Sif (Sistema Informativo Fiscalità) da tutti considerato di prim’ordine (dati ricavati dagli atti della commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria) e con una capacità operativa che neppure la cara vecchia Stasi (Ministerium für Staatssicherheit della Ddr) aveva a disposizione.

In effetti il fisco conosce vita, morte e miracoli di ciascuno dei contribuenti conosciuti, mentre chi non lo sia (si pensi al fenomeno collegato al vastissimo commercio degli stupefacenti, alla micro criminalità, alle scommesse, all’apertura di imprese fantasma da parte di cittadini stranieri ecc.) prospera ben lontano dalla mano rapace dello Stato, perpetuando una distorsione pesantissima del mercato.

In pratica l’occhio del fisco incamera su ciascun contribuente una messe impressionante di dati ricavati, solo per fare qualche esempio, dagli elenchi dei rimborsi e delle agevolazioni, dalle denunce dei redditi, dalla cosiddetta Clo de Clo doganale, dalle dichiarazioni Iva e Irap, dalla fatturazione elettronica, dal catasto urbano, dalla banca dati  Sigof, dalle dichiarazioni Imu/Tasi, dall’Osservatorio partite Iva, dal registro aste immobiliari, dal registro dei beni mobili registrati (Pra), dalla Data Warehouse-Magister, dal registro successioni, dalla banca dati integrati fiscalità, dai tributi locali, dalle accise, nonché dalle coordinate bancarie e postali.

Forse in nessun altro Paese europeo l’intrusività dei mezzi a disposizione dello stato per conoscere i livelli di spesa, di reddito, di tenore di vita dei cittadini è così rilevante, tanto che, scherzando, si parla spesso di dittatura fiscale.

Se a ciò si aggiunge il tentativo di limitare/eliminare l’utilizzo del contante si ottiene una deriva statuale che se da un lato pretenderebbe di monitorare ogni singola transazione della vita di un cittadino (il che apre possibili scenari grotteschi), dall’altro lato tutto esprime questo sforzo immane per non raggiungere alcuno degli obiettivi che si prefigge.

Il recupero reale rispetto all’evasione risulta molto basso, del tutto distonico rispetto alle aspettative formulate in questi anni da governi del più diverso orientamento.

Parrebbe necessario intervenire. Ma come?

  1. Anzitutto superando in via definitiva il contorto e penalizzante meccanismo degli acconti/saldi viste anche le complicazioni emerse per la possibile significativa differenza di reddito tra un anno e l’altro (come è avvenuto per il 2020 e 2021).
  2. Effettuando un’analisi delle poste creditorie dello stato verso i contribuenti per determinare quali siano effettivamente e concretamente recuperabili e quali no. Un accertamento tecnico, non ideologico.

Un’azienda ha l’obbligo di spesare in conto economico le partite creditorie non recuperate in un torno ragionevole di tempo; perché per lo stato questo non vale?

  1. Riducendo e massicciamente semplificando il carico fiscale.

Mantenere in piedi un’attività di recupero su posizioni (si pensi ad esempio a fallimenti aziendali oltre i dieci anni) se gratifica le corde dell’inflessibilità fiscale, costa molto e distoglie energie dall’obiettivo primario che è una veloce e mirata riscossione di quanto dovuto e che può ancora oggi ragionevolmente incassare.

Il resto, come diceva qualcuno, è noia.

Non porre mano con sguardo concreto e non ideologico a questo problema significa accettare che il “grande fratello fiscale” resti pur sempre una delle tante cattedrali nel deserto di cui il nostro paese gode “si fa per dire” solo le spese.

Giuseppe de Concini

Le più lette