venerdì, 29 Marzo 2024
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Oggi è la giornata del gatto: anche a Vicenza si celebra il micio. E non fate ironie…

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Vicenza è come il gatto: sorniona, sembra fare finta di niente ma è pronta a cogliere le occasioni

Un gatto al posto del leone del Mgm come simbolo della sua festa in tutto il mondo

Oggi è la giornata nazionale dedicata al gatto. È indetta dal 1990 proprio il 17 febbraio per diversi motivi. Il segno zodiacale è l’acquario, quello degli spiriti liberi e anticonvenzionali; il 17 invece deriva dall’anagramma di XVII in romano, riprodotto in Vixi, ho vissuto. Giorno ideale, quinid, per le due caratteristiche ai gatti, che sono indubbiamente degli spiriti liberi, che hanno sempre vissuto qualcosa, dato che vivono – stando alla nomea – sette vite.

Anche Vicenza festeggia. E non fate ironie… Certo, perché a Vicenza non trovate il gatto nel menu del ristorante. Lo so, lo so che noi abitanti sotto Monte Berico abbiamo questa nomea di divoratori di felini. Lo ricorda persino Maurizio Crozza quando fa l’imitazione di Zaia. Ma è una fama del tutto usurpata. Soprattutto immeritata. Come se andassimo a caccia di gatti rincorrendoli con la padella in mano per cucinarli “in tecia” come si dice da queste parti. È vero che c’è stato un noto cuoco come Amedeo Sandri che ne 42 anni fa ha pubblicato anche la ricetta del “gatto in tecia” in un libro sulla cucina vicentina tipica, ma voleva scherzare. Non è stato capito.

Con i felini, in realtà, ci facciamo compagnia anche nei proverbi da mezzo migliaio di anni e la convivenza è stata sostanzialmente felice. A parte i periodi di miseria nera, che non sono mancati. E a Vicenza è facile che qualche gatto sia finito a tavola, come in tutte le città d’Italia e in tutti i Paesi del mondo. Purtroppo anche oggi nella Cina del miracolo economico. E quando nel 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale fu emanato un proclama che vietava di cacciare i gatti per mangiarne la carne e usare la loro pelle, la direttiva arrivava dal ministero dell’Interno e valeva per tutta Italia, non era pensata per Vicenza.

E allora perché i vicentini sono magnagati? La risposta è semplice: per fare rima nella celebre filastrocca con “veronesi tutti matti”, di cui si trovano le prime testimonianze nel XVIII secolo. Siccome alla fine vale la regola del rasoio di Occam, la spiegazione più vera è quella più semplice. So benissimo che esistono diverse leggende al proposito: che i veneziani, per esempio, avevano prestato i gatti ai vicentini per sconfiggere l’invasione di topi e non se li sono visti ritornare. Oppure che il podestà, sempre per combattere i ratti che scorazzavano a Vicenza, avesse fatto appello al buon cuore della popolazione per reclutare i gatti, loro nemici giurati senza trovare ascolto. Ma i gatti non erano spuntati.

Quest’ultima, per dire, l’ha raccontata l’amico Virgilio Scapin nel suo libro “I magnagati”. Ma si tratta di invenzione letteraria, di fiction, come si dice oggi. E lui lo sapeva benissimo.

Credetemi, sono andato a verificare – e sono stato l’unico – tutte queste leggende per scrivere il mio libro “Perché ci chiamano vicentini magnagati” (Terra Ferma 2009) ma non ce n’è una che abbia un fondo di verità. Non c’è alcuna prova, tantomeno documentale. Sono tutte creazioni della fantasia popolare, che ha sempre bisogno di aggrapparsi a un briciolo di storia per ricostruire la propria identità civica. Non è mai esistito un fornaio Toni che abbia impastato il “pan de Toni” diventato poi panettone. La cotoletta alla milanese non l’hanno inventata gli austriaci che occupavano Milano duecento anni fa, né la pizza Margherita è una creazione del pizzaiuolo napoletano Rosario Esposito n onore della regina omonima. Leggende da raccontare per far sorridere. La verità è altra cosa.

Torna la domanda. E allora cosa c’è di vero nella nomea? C’è di vero, per esempio, che i più antichi documenti che parlano del legame tra vicentini e i simpatici felini sono dei primi decenni del XVI secolo, quello di Palladio. Ma questi testi certificano solo la simbiosi tra vicentini e gatti, non parlano certo di ricette e menu.

Teofilo Folengo, monaco benedettino, a 26 anni chiuso nel monastero di Brescia scrive il suo “Baldus”, capolavoro del latino maccheronico e in quel libro cita i vicentini paragonandoli ai gatti. Punto. Dal canto suo, Il professor Manlio Cortelazzo, il più grande studioso di dialetti italiani, cattedrattico all’università di Padova, scovò un “blasone popolare” del 1535 – quindi contemporaneo a Folengo – nel quale assieme a tanti paragoni delle città, dal padovano che non è dottore ma “picca l’asino” al veronese “cavoso” (che vuol dire “terra di capi”) c’è il vicentino gatto, cioè sveglio, rapido, furbo.

Questa è la verità dietro al proverbio. Che i vicentini siano svegli e furbi lo prova, ad abundantiam, la storia imprenditoriale del Novecento, che vede tre vicentini aver rivoluzionato la vita del pianeta Terra con le loro invenzioni: Tullio Campagnolo ha inventato il cambio automatico della bicicletta, Federico Faggin ha inventato il microprocessore del computer e Lino Dainese ha creato l’airbag per motociclisti, prodigio di tecnica e sicurezza.

Poi è anche vero che, per fare quale scherzo agli amici, c’è stato chi s’è inventato la “cena del gatto” a Vicenza. Ma da qui a parlare di una specialità gastronomica vicentina ne corre. I gatti da noi non corrono pericoli. Tant’è vero che per anni a palazzo Trissino in corso Palladio, sede di rappresentanza del municipio, all’ingresso potevate trovare Romeo, il gatto randagio che – al pari del suo collega degli Aristogatti disneyani – ha trovato sicuro riparo nell’antico palazzo, adottato e coccolato dagli impiegati comunali. È morto di malattia e di vecchiaia, tranquillamente. Il gatto è il simbolo della città che sembra dormire, far finta di niente, in realtà è ben sveglia e pronto ad afferrare ogni occasione. Siete avvisati. Con i vicentini, finite voi “in tecia” non gatti. A proposito: la foto del servizio è del mio gatto Pallino, esempio di felice convivenza tra specie a Vicenza da quasi 22 anni.

Antonio Di Lorenzo