giovedì, 28 Marzo 2024
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“Troppo cuochi e poco imprenditori”. Così Enzo Vizzari spiega le tante chiusure di ristoranti

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Vizzari, direttore della guida de L’Espresso: “C’è molta voglia di tornare nei ristoranti, ma bisogna saperli gestire”

Enzo Vizzari, da vent’anni direttore della Guida de L’Espresso

Troppo cuochi e poco imprenditori. Pensano troppo alle ricette e meno all’azienda ristorante. È questo il nodo della ristorazione post-pandemia, quando le persone hanno ritrovato il gusto di uscire ma allo stesso tempo molti, troppi locali, non hanno riaperto. O stanno chiudendo. Il giudizio è di Enzo Vizzari, il più autorevole critico gastronomico d’Italia, ma ben quotato anche all’estero, soprattutto in Francia. Settantacinque anni di vivacità, cinquantuno dei quali con la tessera di giornalista, da venti Vizzari è direttore della Guida de L’Espresso, la più autorevole d’Italia, ma quando parla di imprese sa bene quello che dice dato che è stato per decenni uomo di Confindustria fino a diventare direttore dell’Unione industriale di Biella per dodici anni.

Qual è la situazione della cucina in Italia?

Sinceramente non ci sono stati grandi cambiamenti negli orientamenti del gusto a causa della pandemia. Il problema è la ristorazione…

Perché?

Perché la ristorazione è fatta da un gran numero di bravi cuochi, ma pochi, pochissimi di loro sono anche imprenditori. Così stanno venendo al pettine i nodi di aziende che stanno faticando se non lasciandoci le penne. E la morìa temo non sia finita.

Qual è il motivo?

Sono troppi i ristoratori che hanno confuso il flusso di cassa con quanto occorre per fare andare avanti l’azienda.

Chi ha sofferto di più?

Non l’altissima ristorazione, che ha ormai il suo giro, ma quella media, direi medio bassa, ossia quella di servizio: chi mangiava fuori adesso lavora da casa e loro sono rimasti senza clienti.

Secondo lei i giovani che si avvicinano a questo mondo sono più bravi, pretenziosi o furbi?

È comprensibile che chi inizia voglia mettersi in mostra, la verità è che le nuove aperture sono pochissime. Poi non riesco a scorgere una tendenza dominante fa i giovani, ma vedo molte realtà diverse.

E poi c’è il personale che non si trova

È il problema dei problemi. Non passa giorno che non riceva chiamate di qualche cuoco o ristorante in cerca suggerimenti per trovare personale, sia in cucina che in sala.

Massimo Bottura: scoperto da Vizzari è uno dei più grandi cuochi al mondo

Ma cos’è successo che sono spariti tutti?

Se troppi giovani preferiscono prendere il reddito di cittadinanza e fare qualche lavoretto in nero piuttosto che impegnarsi in un lavoro a tempo pieno, vuol dire che c’è stata troppa disinvoltura nella gestione dei rapporti di lavoro, con contratti che a volte ci sono e altre no, stipendi bassi…

C’è qualche moda che si sta affermando? Qualche anno fa andava molto la cucina nordeuropea

Non vedo una cucina che emerge, e parlo non solo personalmente ma anche sulla base delle migliaia di schede che vedo.

In Italia c’è voglia di trattoria, si diceva. Ce n’è ancora?

No, direi di no. Piuttosto c’è voglia di ristorante.

Chi avrà successo?
Gli eccellenti andranno per la loro strada, cioé Alajmo, Romito, Bottura, e poi torneranno in auge i ristoranti che avranno qualcosa da dire. Guardando anche alla Francia non c’è una tendenza che prevalga sulle altre.

È un riflesso di qualcosa, dell’incertezza che stiamo ancora vivendo?

Non credo. Piuttosto si consolidano e si affermano i valori e le scelte fatte in passato.

Qual è il punto di forza della cucina italiana?
La riscoperta del ristorante: se i cuochi rispondono da imprenditori, faranno del bene a tutti.

Hanno ancora senso i lunghi menu degustazione? C’è chi sostiene di no.

Ci sono ristoranti nei quali si va proprio per fare un’esperienza di questo tipo, consapevoli. Ci sono molte persone a cui piace. La cucina nordica lavora così… Insomma non si sta tornando indietro: sono semplicmente segmenti di mercato diversi.

C’è una tendenza a mangiare meno?

Anche in questo caso dipende da cosa ci si aspetta: se mi siedo da Bottura, so di assaggiare piatti importanti. Magari mangio di più.

Qual è stata in tanti anni la maggiore soddisfazione gastronomica?

Aver scoperto Massimo Bottura. È accaduto quasi per caso nel 2001: ero vicino a Modena e c’era un ingorgo tale che non sarei mai arrivato a Roma, a destinazione. Avevo sentito parlare di questo locale e mi diressi lì. Il giorno dopo licenziai il collaboratore di Modena: “Non capisci niente”, gli dissi. E scrissi una pagina su L’Espresso dal titolo “Scusate il ritardo”. È stata storica.

Quali sono i tre piatti da portare su un’isola deserta?

La terrina di foie gras…

…preparata da chi?
Naturalmente da me. Sono un grande cuoco. Quando ci scriviamo con Alain Ducasse per incontrarci mi dice: per fortuna cucini tu…

E gli altri due piatti?

I tajerin con il tartufo e la parmigiana di melanzane. Come vede, ci sono le tre massime espressioni della cucina: la Francia, il mio Piemonte e il Mediterraneo

Gastronomi si nasce o si diventa?

Rispondo solo che per i miei diciotto anni, nel giugno 1964 sono andato a mangiare da Peppino e Mirella Cantarelli, nella Bassa Parmense…

…di cui Baldassarre Molossi ha scritto che superato l’ingresso si entrava nel regno delle fate…

E l’anno successivo sono andato dalla Santa a Genova da Nino Bergese, il re dei cuochi e il cuoco dei re.

Antonio Di Lorenzo