venerdì, 29 Marzo 2024
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Padova, discorso del Sindaco in occasione del 107° anniversario del genocidio armeno

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Discorso del Sindaco di Padova in occasione del 107° anniversario del genocidio armeno, questa mattina durante la cerimonia in Municipio

 

Signore, signori, gentili ospiti

Siamo qui oggi, davanti a questo bassorilievo in bronzo, per ricordare  il genocidio e il tentativo di totale annientamento del popolo armeno, promosso e messo in pratica dal movimento politico dei Giovani Turchi nel 1915, pochi anni prima della caduta dell’Impero Ottomano.  

Una tragedia e un crimine contro l’umanità, che il mondo allora, non ha voluto vedere e che ha poi colpevolmente dimenticato  fino al 1973, quando la commissione dell’ONU per i diritti umani  ha riconosciuto ufficialmente  lo sterminio di circa un milione e mezzo di armeni.

Chi non fu ucciso subito, morì di fame e malattie nei campi di concentramento, e chi riuscì a salvare la vita fu costretto ad abbandonare per sempre la propria terra d’origine, e a costruire una nuova vita in altre nazioni del mondo.

Molti si sono fermati in Italia, e Padova è storicamente una delle comunità armene più importanti del nostro paese.

Il genocidio del popolo armeno è il frutto avvelenato dei nazionalismi che hanno tragicamente attraversato il ‘900, e che speravamo di esserci lasciati alle spalle, con le guerre dei Balcani che hanno segnato l’ultimo decennio del secolo scorso.

Purtroppo, a distanza di 31 anni da quel marzo 1991, ci troviamo oggi ancora una volta nel pieno di una guerra,  dura, violenta,  crudele  alle porte dell’ Europa.

E anche se in questo caso, a differenza di quello che accadde 107 anni fa in Turchia,  c’è un evidente invasore di uno stato sovrano, e un popolo che si difende con determinazione,  una concezione malata dell’idea di nazione, è alla base anche di questa aggressione insensata e folle.

Ancora una volta sentiamo parlare di pulizia etnica, di regioni dalle quali una parte della popolazione deve andarsene, o nel migliore dei casi , accettare di essere considerata di serie B.

Di fronte a tutto questo, al volto dei profughi che sono giunti anche nella nostra città, spaventati e spaesati, essere qui oggi assume un significato ancora più profondo.

Ricordiamo oggi, doverosamente le vittime del genocidio armeno, il cui ricordo non deve svanire con il passare del tempo, e alla stesso tempo ci  stringiamo attorno al popolo ucraino, quello che vive e combatte in patria come quello che è profugo in Italia e negli altri Paesi, in un abbraccio di profonda solidarietà umana.

Un abbraccio che comprende anche gli armeni che vivono in  Ucraina, ufficialmente 130 mila, anche se secondo alcune stime potrebbero essere quasi 400 mila.

Anche loro vittime di questa guerra.

Tutti  noi, dopo quasi due mesi di combattimenti, chiediamo al più presto pace e giustizia.

L’anno scorso, qui con voi, commentavo il fatto che l’Italia, l’Europa devono fare di tutto perché eventi tragici come quello che un secolo fa colpì il popolo armeno, non si ripetano più.

Quello che accade in questi giorni, dimostra che almeno in questo caso, non ne siamo stati capaci.

Dimostra che le ragioni della violenza e delle armi, hanno avuto  il sopravvento su quelle del dialogo e della ragione.

Adesso bisogna spegnere l’incendio che è divampato in Ucraina, far tacere le armi, salvare vite umane.

Poi però dovremo chiederci davvero come fare perché nonostante due guerre mondiali, e altri conflitti anche in aree a noi vicine, abbiamo lasciato che ancora una volta prevalesse la voce delle armi e della violenza.

La libertà, così come i diritti umani, la tutela  della storia e della cultura di un popolo, non sono valori negoziabili. 

E proprio per questo, e per dare un senso concreto a questa commemorazione, oggi noi non possiamo girarci dall’altra parte, far finta che quanto purtroppo accadde agli armeni nel 1915,  così come quello che accade in Ucraina non ci riguardi, sia una questione locale, distante  da noi.

Dobbiamo ricordare che quando sono in gioco la libertà, i diritti umani, la democrazia, noi siamo sempre coinvolti perché questi valori, come dimostrano anche i fatti di queste settimane, non sono assicurati a prescindere, e una volta conquistati sono un tesoro da custodire e difendere con impegno. Non dimentichiamolo mai