martedì, 16 Aprile 2024
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Trevigiano: saldi occupazionali buoni nella ripresa post pandemica

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Trevigiano, a maggio è l’occasione per tirare le somme sui saldi occupazionali del territorio che sono fortunatamente confortanti.

I saldi occupazionali certificati dal Centro Studi di EBiCom Treviso parlano chiaro e sono confortanti. Nel terziario trevigiano, nonostante la pandemia, nell’anno 2021, si registra, per quanto riguarda gli Under 30, un saldo di 5440 nuovi contratti, prevalentemente nel settore dei servizi (3990 distribuiti tra istruzione, sanità, magazzinaggio e trasporti, attività artistiche e professionali) e in maggioranza (3320) a tempo determinato. Nell’insieme, i contratti “giovanili” rappresentano l’83,6% dei nuovi posti di lavoro dipendenti. Per quanto riguarda le donne, il Centro Studi restituisce un saldo attivo di 3700 nuovi contratti, prevalentemente a tempo determinato e somministrato e maggiormente dislocati nel settore dei servizi (3045). Tra questi, il part – time costituisce il 44,2% (pari a 2025 contratti) dei posti di lavoro femminili maturati nel 2021.

Sguardo a parte va fatto per il saldo occupazionale trevigiano del settore terziario che conta a fine 2021 numerose nuove assunzioni di giovani e donne.

Lo sguardo di insieme al comparto del terziario conta, a fine 2021, 31.935 assunzioni di giovani (+30,6% rispetto al 2020) e 43.935 di donne (+29,3% rispetto al 2020) su un totale complessivo di 81.675 assunzioni da parte delle aziende trevigiane.

Lo sguardo di insieme al comparto del terziario conta, a fine 2021, 31.935 giovani e 43.935 donne su un totale complessivo di 81.675 occupati.

“Anche se il trend quantitativo è positivo” – commenta il Presidente Adriano Bordignon (in foto) – “la sfida post pandemia è e sarà sempre più soprattutto qualitativa. Il lavoro oggi, non è riconducibile solo alla dimensione contrattualistica o salariale, ma assume molte nuove dimensioni su cui occorre ragionare anche tramite la concertazione territoriale e nuove relazioni sindacali. I giovani, oltre al fatto che sono demograficamente in flessione, ci stanno dimostrando, coi fatti, che occorre invertire l’ordine dei fattori e mutare il paradigma lavoro-stipendio-sacrificio. Il lavoro, per essere considerato “buono”, non è più e non solo l’incrocio tra un impiego di tempo, uno sforzo e un compenso, ma un risultato complessivo che pone al centro la persona nella sua interezza, oggi sempre più alla ricerca di un equilibrio generale dettato non solo dallo stipendio, ma dalle relazioni personali e familiari, dal benessere prodotto dalle scelte lavorative e dallo stile di vita che esse determinano. Questo è sicuramente uno dei nuovi fenomeni accelerati dalla pandemia. Anche sul fronte femminile vale lo stesso discorso: l’armonizzazione dei tempi vita – lavoro non è un optional ma diventa parte essenziale delle scelte delle lavoratrici in un contesto sociale in cui il welfare e i servizi pubblici sono ancora troppo scarsi. Emergono comunque molte nuove tendenze e nuovi ambiti: dietro ai segni + alla voce servizi ci stanno molte professioni legate alla creatività e al digitale e nuovi lavori nella logistica per esempio. Ciò significa formazione e nuove competenze. In questo contesto, dove la nuova concertazione dovrà interpretare il cambiamento, la bilateralità sarà essenziale e sta già dando molto. Pensiamo ai sussidi dati a imprese e lavoratori per spese mediche, figli disabili, libri e studio universitario, per citarne solo alcuni. Abbiamo a disposizione anche contributi per le aziende, anche piccole, che decidono di attuare i piani di welfare, ma anche i contributi per badanti. Stiamo lavorando nel segno di una qualità che aggiunge valore e benessere ad un contratto. Questa strada, interpretata dalla bilateralità e aperta alle innovazioni, è la strada che vuole accompagnare con determinazione al “lavoro buono”.

 

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