Molte le polemiche in Veneto sui candidati paracadutati in vista delle elezioni. Aveva ragione Raimondo Vianello: a noi no, che non va bene così, noi no…
Il più bersagliato, peraltro a ragione, è stato il Pd per il suo uso diciamo disinvolto del paracadute elettorale: nel Veneto con Letta e Fassino, in Piemonte con Serracchiani, ma anche in Campania con Camusso, in Sicilia con Furlan, entrambe new entry e ex numeri uno di Cgil e Cisl. S’è gridato allo scandalo, all’invasione, ai territori calpestati. E va bene. Come se gli altri partiti fossero gigli di campo. Fratelli d’Italia ospita Alessandro Urzì nel Veneto 2, non esattamente un quivis e populo dato che è segretario del Trentino Alto Adige. Forza Italia ha mandato la presidente del Senato, padovana, a farsi eleggere in Basilicata, tanto per farle conoscere la geografia, e ha chiamato a Padova a farsi eleggere la presidente del gruppo parlamentare al Senato, Anna Maria Bernini da Bologna. Mica che sia la prima volta: si può ricordare Andrea Orsini, romano, eletto ad Arzignano nel 2006 con l’allora Popolo delle libertà. Ma se torniamo al presente, tra i vari candidati in questa elezione nel Veneto c’è anche Gina Lollobrigida, ancora bersagliera ma senza De Sica, visto che si presenta a 95 anni con Italia sovrana e popolare di Marco Rizzo. Solo la Lega non ha “foresti”, e ci mancherebbe visto che il Veneto è casa sua, anche se pure per la Lega i voti calano e la ghigliottina ha funzionato anche per il Carroccio, visto i parlamentari rimasti a casa (Racchella) o cacciati in un angolo delle liste (Covolo) con speranze di essere eletti da prefisso telefonico. E non parliamo del duello (neanche tanto) sotterraneo fra Salvini e Zaia: loro smentiscono anche di essere vivi, figuriamoci se ammettono fratture, ma quando il governatore dice “queste liste non sono passate per la regione e io rispondo solo di quello che faccio io”, il messaggio è chiaro, limpido.
Un paio di mesi fa, quando Draghi era ancora saldo al governo, scrivevo su questo giornale che “alle prossime elezioni non ci arriveremo con questi partiti”. Non credevo che la profezia si avverasse tanto in fretta e posso solo augurarmi che si tramuti nella più celebre profezia di Celestino che alla fine segna il risveglio a una nuova vita.
Che la situazione delle liste sia quella che abbiamo sotto gli occhi è spiegabile (non giustificabile) per il combinato effetto di due fattori che mettono a tutti una paura nera. Da un lato l’astensione e dall’altro il taglio dei parlamentari. Non sono preoccupazioni da poco: due anni fa alle regionali votò il 61% dei veneti, alle amministrative di giugno ha votato il 51% dei cittadini. Un elettore su due è rimasto a casa. Questo è già un buon motivo, per i partiti, per arroccarsi e chiudere il ponte levatoio: meglio non entri nessuno, neanche il buonsenso. Il primo comandamento è: difendiamo i nostri a tutti i costi. Perché da come sta andando la campagna elettorale, cioè fra litigi e insulti, c’è da sperare che quel 51% di votanti non si abbassi ulteriormente.
Il secondo scoglio è il taglio dei parlamentari. Mostrato come vittoria del popolo sulla “casta”, neanche ci fosse la Marianna francese a sventolare la bandiera della libertà davanti ai cittadini inferociti come nel quadro di Delacroix, in realtà non produrrà economie apprezzabili e, viceversa, avrà effetti negativi proprio su quella politica che voleva guarire. Uno ce l’abbiamo sotto gli occhi: la corsa a cercare un seggio sicuro, perché per dirla con Orwell c’è sempre qualcuno che è più uguale degli altri. Il secondo effetto lo vedremo nel funzionamento del nuovo parlamento: con il 30% in meno di deputati e senatori credete che i procedimenti saranno più veloci? Tutt’altro. Saranno più lunghi e complicati, visto che un minore numero di persone dovrà comunque occupare i posti in Commissione, che sono rimaste le stesse. E siccome nessuno ha il dono dell’ubiquità e il giorno dura 24 ore per tutti, ci sarà da diventare matti.
Stretta fra queste due emergenze, non poteva che risultare un’elezione di emergenza e di passaggio, che produrrà ferite al sistema di rappresentatività destinate a rimarginarsi solo con il tempo.
Che fare? Prendersi un po’ di responsabilità, per esempio. Come sottolineava Giandomenico Cortese sul “Corriere del Veneto” citando Erich Fromm, nel passato il pericolo era che gli uomini fossero schiavi, oggi che diventino dei robot. “Astenersi non è gesto di scetticismo verso le incapacità della politica, ma è privarsi delle responsabilità”. Il “tanto, sono tutti uguali” non ci porta da nessuna parte, nemmeno di fronte a liste di paracadutati e criticabili per molti motivi.
Ci vuole un piccolo grande atto di ribellione, almeno in cabina elettorale. Perché. in fondo, ha ragione il buon vecchio radicale Massimo Teodori che su “Il riformista” ha spiegato che “questa legge elettorale non è solo una porcheria ma che ha trasformato l’Italia in un Paese semiautoritario”. L’elettore non può scegliere niente, se non mettere un simbolo che lega il suo voto all’uno e all’altro collegio, voti per la coalizione ti ritrovi ad avere votato anche per l’uninominale. Pochi hanno deciso tutto. E questo è l’esatto opposto per la democrazia. Speriamo che questa legge sia cancellata al più presto: ma siete sicuri che lorsignori lo vorranno? Nel film “Il divo”, alla segretaria che lo invitava a non ingobbirsi sul tavolo mentre scriveva, Andreotti rispondeva: “Sto tanto bene così…”. Ecco, sono troppi a Roma che stanno tanto bene così. Ma noi no, noi. Noi no. Grande Raimondo Vianello.
Antonio Di Lorenzo