giovedì, 28 Marzo 2024
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La vita del giovane Panatta cambiò a Vicenza: e così diventò un campione

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A metà anni Sessanta fu notato agli assoluti a Vicenza e spedito ad allenarsi a Formia dove decollò

Un giovanissimo Adriano Panatta: la sua vita cambiò a Vicenza

Per Adriano Panatta la svolta della vita giunse a metà degli anni Sessanta a Vicenza. È lo stesso campione che lo racconta nel docufilm “Una squadra”, che sta girando nei cinema e viene replicato come miniserie su Sky.

Diciamo subito che se lo incrociate su Sky Documentaries non ve lo dovete perdere, perché è un divertente pezzo di storia dell’Italia e non solamente del tennis. Quella squadra di giovani tennisti che vinse la Coppa Davis nel 1976 riflette, infatti, stili di vita e cultura di quegli anni sospesi fra terrorismo, politica, energie giovanili che volevano cambiare il mondo (e almeno in parte ci sono riusciti), dittature, cantanti e pantaloni a zampa d’elefante.

Ma questo lo approfondiremo più avanti.

Dicevamo che la svolta della vita di Panatta, quella che lo portò a diventare il grande campione che tutti ricordiamo, avvenne a Vicenza. Nel documentario a firma di Domenico Procacci, Adriano racconta che giocava i campionati under 16 di tennis a Vicenza – certamente sulla terra rossa di piarda Fanton, aggiungiamo noi – quando in quell’occasione fu notato da Mario Berardinelli che lo portò a Formia. Siamo a metà degli anni Sessanta, quindi 1965 o 1966, dato che Panatta è del 1950. Erano gli anni del tennis che stava diventando un fatto di moda diffusa in Italia e non solo il gioco dei ricchi. Un giovanissimo giocatore di quegli anni, Andrea Libondi, diventato poi celebre giornalista, ricorda bene di aver giocato in Piarda Fanton con il fratello di Adriano, Claudio Panatta.

Fu davvero quella di Vicenza e poi Formia la svolta per lui e per gli altri colleghi che andarono a comporre il dream team di tutti i tempi del tennis italiano. Gli adolescenti Panatta, Bertolucci, Zugarelli e Barazzuti restarono sempre molto legati a Belardinelli, che considerarono molto più che un allenatore, piuttosto un padre. E nel film se ne ha la prova: ne parlano sempre con affetto, perfino negli scherzi che gli combinavano, vuoi far girare all’indietro la pellicola dei film durante le serate dei ritiri oppure infilargli il “Manifesto” sotto il piatto a pranzo, proprio a lui che adorava Almirante e aveva insegnato il tennis a Mussolini a villa Torlonia. A questo proposito, Panatta racconta un episodio che appartiene alla leggenda di Belardinelli. Il duce, infatti, non era forte col rovescio, e quando Belardinelli gli propose di migliorare quel colpo, Mussolini risposte, metà scherzando e metà no: “Anche oggi tireremo diritto”.

Il film di Procacci, come si diceva, ha molti pregi, primo fra tutti un montaggio serrato delle interviste ai protagonisti di un tempo, compresi i silenzi, espediente che sortisce indubbi effetti comici. Il documentario è fonte di divertimento sotto vari aspetti, specialmente per il fatto che questi campioni, ormai settantenni e oltre, ricordano con lo stesso vigore, e qualche volta con la stessa incazzatura d’un tempo, vicende, litigi, intese e malumori di mezzo secolo prima. C’è maggiore distacco, naturalmente, ma non se le mandano a dire.

Si nota anche una certa ruvidezza nei confronti di Nicola Pietrangeli, peraltro lucidissimo dall’alto dei suoi 88 anni, che infatti con un piccolo colpo di Stato loro rifiutarono come capitano e al quale fecero perdere il posto a favore di Bitti Bergamo.

Gli ex giovani ricordano anche che la vita al centro atletico di Formia era dura: mattina a scuola, pomeriggio al campo da tennis, sera compiti e studio. Fu questo ritmo divita che seguirono per qualche anno, ma i risultati si sono visti. Sino alla finale di Davis in Cile e a quelle due magliette rosse di Panatta e Bertolucci indossate per fare dispetto ai generali della dittatura di Pinochet, dato che il rosso era il colore della protesta contro il regime. (a.d.l.)