sabato, 20 Aprile 2024
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“Mio papà, Tito Gobbi, è sempre vissuto con Bassano nel cuore anche se abitavamo a Roma”

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Il ricordo del grande baritono Tito Gobbi nelle parole della figlia Cecilia

Il celebre baritono bassanese Tito Gobbi

Quando sei una bambina e porti sul palcoscenico i fiori a Maria Callas non solo quell’episodio ti resta impresso nella mente ma è chiaro che con lo spettacolo avrai un rapporto del tutto speciale. Specie se tuo papà si chiama Tito Gobbi, e quindi sei cresciuta a pane & lirica. Cecilia Gobbi è presidente della Fondazione intitolata alla mamma Tilde e al padre, baritono e cantante lirico tra i più grandi della storia, nato a Bassano e che bassanese restò nell’animo anche se andò ad abitare a Roma. Cecilia Gobbi ha organizzato assieme al Comune le celebrazioni di maggio per ricordarlo, ricche di iniziative tra recital, convegni, eventi, concorsi per giovani e la premiazione di Raina Kabaivanska con il riconoscimento intitolato al papà.

Come mai ha deciso di dare vita a questa iniziative?

Per dieci anni, dal 1971 al 1981, papà ha organizzato corsi di sei settimane per i giovani con un’università americana. Quando sei al massimo della carriera e investi sei settimane della tua vita per i giovani, vuol dire che ci credi davvero. Aveva iniziato il progetto per trasferirli a Bassano ed Asolo quando mancò nel 1984.

Cecilia Gobbi, figlia del grande Tito: anche lei è molto legata a Bassano

Che rapporto aveva con Bassano?

Papà non è mai stato romano. Era invece molto legato alla sua città. Rifiutava contratti pur di stare a casa. Aveva con Bassano lo stesso legame che ha un emigrante con la propria terra. La sua era la nostalgia di chi è sempre in viaggio. Del resto, un artista vero è un esule perenne: va in giro di qua e di là, ma poi torna in albergo da solo. Ai nostri tempi, gli artisti del rock hanno migliaia o milioni di fans ma poi ci sono anche i suicidi.

La solitudine è ascoltare il vento e non poterlo raccontare a nessuno diceva un altro cantante, Jim Morrison

Sì, brutta faccenda. Ricordo che una volta a Parigi eravamo assieme a Maria Callas e lei chiese al papà se le andava a comprare il gelato prima di tornare in albergo.

Al di là del talento, secondo lei che cosa colpiva del papà il pubblico e i critici?

Era un grandissimo attore, tant’è vero che si truccava sempre lui da solo. Il pubblico si conquista quando racconti una storia e gli spettatori devono credere a quello che stai esprimendo, devono essere convinti e condividerlo. Devono sentirsi dalla tua parte, nell’odio e nella passione…

Ma nella lirica non è importante il canto?

Certo, nel teatro d’opera domina la figura del cantante. Ma proprio per questo si parla di cantanti e di artisti. Far vivere le emozioni è una cosa diversa dal solo cantare. Lo stesso Zeffirelli, che era un grande amico, da questo punto di vista non insegnò niente a papà e alla Callas.

Invece il maestro di Cavarzere, Tullio Serafin, grande direttore d’orchestra fu decisivo, visto che scoprì entrambi

Ebbe un’enorme influenza. Diceva di Maria: nessuno mi darà quello che mi ha dato lei.

Papà era amico della Callas?

C’era amicizia vera, ma non frequentazione. Personalmente, ho sempre pensato che la Callas fosse eterna. E lo è.

Torniamo alla differenza tra cantante e attore. Suo nonno materno era un musicologo importante. Era tenero con il papà?

Mica tanto. Era esigente. Una volta lo criticò per l’interpretazione del barone Scarpia nella Tosca, perché – sosteneva – camminava come un uomo di trent’anni e non di quaranta, come l’età del personaggio.

       La lirica vivrà per sempre?

Mio nonno si rincuorava perché, sosteneva, la lirica sarebbe almeno sopravvissuta nei film. Era pessimista. Secondo me la lirica sopravviverà, ma in forme diverse. Mi spiego: oggi non si scrivono più opere barocche ma si eseguono quelle antiche. Così come non si dipinge più come il beato Angelico, ma esiste sempre la pittura. L’artista crea secondo criteri della sua epoca, ma l’arte resta.

Papà conobbe grandi personaggi e colleghi: di chi vi parlava?

Gli erano simpatici Bob Hope, Danny Kaye e soprattutto Laurence Olivier che conobbe a metà anni Settanta in uno spettacolo al Covent Garden per l’ingresso del Regno Unito nel Mercato comune europeo. Era presente anche la regina allo spettacolo. Papà interpretava Falstaff.

Esiste un erede di Tito Gobbi?

No, per il semplice motivo che ogni artista ha una storia a sé.

Antonio Di Lorenzo