Vicenza e la nuova categoria della “provincialità” in politica che non è “provincialismo”
Il punto della settimana. Due fatti vanno ricordati della settimana appena trascorsa. Primo. Vicenza capitale della politica. Secondo. Il “pasticciaccio” di Forza Italia sulle candidature. Due fatti e un corollario letteral-politico.
Letta & Renzi. Vicenza s’è ritrovata al centro dell’attenzione perché nel giro di ventiquattr’ore tre ex presidenti del Consiglio, un tempo alleati e due di loro perfino condomini nel Pd, hanno iniziato qui la campagna elettorale. S’è toccata con mano la simpatia un po’ guascona di Matteo Renzi, che ha menato fendenti a destra e a sinistra. Però Italia Viva ha attirato molto interesse, in percentuale anche più del Pd. Erano in duecento all’hotel Tiepolo, tra cui molti insospettabili, mentre in cinquecento hanno applaudito Enrico Letta attorno al palco lacustre a Torri di Quartesolo. La battaglia dei numeri l’ha vinta il Pd e non poteva essere il contrario: anzi, viste le bordate che arrivano sui democratici da ogni lato, è anche consolante.
Amministrative. Dal palco Letta ha esplicitamente affermato che queste politiche saranno il traino delle amministrative della primavera prossima. Bene. Fossi in lui, però, mi preoccuperei di più degli ex Pci ed ex Pd che si sono visti da Renzi all’hotel Tiepolo. Tanti, troppi dal suo punto di vista. Non erano così tanti quando Renzi ha fondato Italia Viva. Evidentemente, c’è un malessere che spinge a cercare nuovi spunti di riflessione, come mi ha confidato un amico, un tempo della sinistra Dc, sindacalista per moltissimi anni che ho ritrovato al Tiepolo. Mentre un altro ex sindacalista ora con i capelli bianchi, questa volta della Cgil, non solo era attento a quanto diceva Renzi, ma perfino lo registrava durante la conferenza stampa. Non è attenzione, è dedizione.
Cinque stelle. Un altro sindacalista, sempre della Cgil, ha diffuso la sua foto sui social assieme a Giuseppe Conte. Orgoglio di organizzatore, certo. Ma è proprio questa l’altra novità del panorama politico locale: l’accoglienza da star del presidente dei Cinque Stelle al festival delle Fornaci Rosse. Se da Letta erano in cinquecento, gli ingressi contati dallo staff organizzativo al parco erano mille. Che i Cinque Stelle siano in crescita lo dicono i sondaggi, che fanno ipotizzare un sorpasso della Lega a livello nazionale (nel Veneto è arduo) ma lo dice soprattutto il fervore dei cittadini verso il presidente Conte. Effetto trascinamento dell’immagine del premier Lancillotto che ha affrontato la pandemia? Un maggiore fascino ora che i Cinque Stelle sono passati all’opposizione? Radicamento popolare di intenti e riconoscenza per il reddito di cittadinanza, vieppiù condannato dagli avversari? Ci può essere un cocktail di motivazioni, ma la realtà è quella di un movimento che, dato per morto, sta resuscitando e dimostrandosi ben vivo senza essere uno zombie.
Espulsioni. Il buon Marco Zocca s’è ritrovato da capolista a escluso dalla lista di Forza Italia. Si può solo immaginare il suo disappunto, la sua incazzatura tanto per parlare chiaro, anche se obiettivamente le possibilità di raggiungere un seggio a Montecitorio per Forza Italia nel plurinominale facevano più parte dei desideri che non delle scommesse. Certo che Zocca è stato trattato male dal partito che lo ha individuato come vittima sacrificale. “È un eroe”, ha detto il segretario Michele Zuin. “Speriamo che il partito si ricordi del suo sacrificio”, ha aggiunto più prudente e concreto Pierantonio Zanettin. Se con questa decisione per lui non ci sarà più il problema di scegliere tra giunta e Montecitorio e il sindaco Rucco avrà una sicurezza in più, è sempre meglio essere cauti sulle promesse in politica. “Bisogna avere buona memoria per mantenere le promesse”, ammoniva Nietzsche. E l’Italia, specie nella cose di politica, ha la memoria di un criceto.
Provincialità. Luca Romano, dalle colonne del Corriere del Veneto, spiega la presenza dei leader a Vicenza non come frutto di casualità bensì come scelta precisa, perché Vicenza è diventata l’esempio della “provincialità” non più del “provincialismo” degli anni Cinquanta e Sessanta. “La provincialità – spiega lo studioso – non è più periferia dell’impero, ma capacità e coscienza di avere in sé una centralità tale da sapersi organizzare anche senza i partiti”. È una bella analisi, nuova rispetto ai tanti deja vu ascoltati sull’ex sagrestia d’Italia di cui davvero non si può più neanche sentirli citare. Vicenza, come terra da ri-conquistare da parte della politica, dunque, come nuova frontiera, avendo sempre ben chiaro, cita sempre Luca Romano, la definizione data da Guido Piovene verso i concittadini, cioè che Vicenza è pericolosa, in quanto oscilla “tra una finzione che disintegra e una verità che brucia”. Chi si scotterà o addirittura sparirà?
Antonio Di Lorenzo