venerdì, 29 Marzo 2024
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Che delizia il “Malato immaginario” al comunale di Vicenza: il regista e Solfrizzi lo rendono fresco

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Una rilettura del capolavoro di Moliere in cui si ride molto ma non si cade nella farsa o nella caricatura

Emilio Solfrizzi al centro della scena: una lode a tutta la compagnia

Che delizia questo Malato immaginario di Guglielmo Ferro! La sua regia dà respiro ed equilibrio a un capolavoro immortale. Emilio Solfrizzi dal canto suo dipinge il personaggio su cui si regge la commedia con pennellate nuove e originali. Il merito di Ferro è di aver reso fresco e moderno un testo immenso di Moliere (che, malato di tubercolosi, morì qualche ora dopo averlo recitato, nel 1673). Il regista, infatti, ha svecchiato il personaggio e Solfrizzi gli ha dato una vivacità e vitalità cui non eravamo abituati. Il testo, così ricco di spunti comici, è sempre stato visto più dal versante della commedia dell’arte, e lo stesso protagonista Argante è spesso stato tratteggiato come un vecchiaccio paranoico. Non va dimenticato, infatti, che il termine immaginario nella mentalità del tempo era sinonimo di pazzo.

In questa edizione, anche se si ride parecchio, il testo e l’interpretazione sono misurati. Non si cade nella farsa. Il regista, infatti, ricorda che Moliere aveva scritto questa parte per se stesso, quindi per un’uomo di 52 anni, che erano senz’altro tanti anche nel Seicento di Luigi XIV ma si resta lontani dalla parodia. E Solfrizzi, che ha otto anni più di Moliere al tempo, ha mano leggera e non trasforma il protagonista in una specie di Paperon de’ Paperoni scorbutico e caricaturale. Come ha detto Pierluigi Petricola su Sipario, pochi giorni fa, gli ha tolto la maschera e l’ha reso una persona. Così si ride molto nelle due ore di spettacolo perché alla fine ridiamo di noi stessi, delle nostre paure, dell’ipocondria che ci portiamo addosso e non tanto perché il personaggio sia ridicolo e irreale. Viceversa è umano, molto simile a noi con tutto il carico di ipocrisia, ingordigia e incapacità di cui ci accorgiamo appena giriamo gli occhi attorno a noi. E che spesso ci fanno sentire soli, come conclude amaramente Argante nella battuta finale della commedia. Lui non è ammalato, soltanto solo.

Se Solfrizzi è di alto livello, la compagnia appare affiatata e alla sua altezza, in tutti i ruoli. E anche questo fa bene allo spettacolo. Che in un paio di scene cita anche Totò: una volta nella lettera dettata da Argante al notaio, che rimanda a quella di Totò e Peppino nella Malafemmina e la seconda verso la fine del secondo atto con il protagonista che deve fingere di morire e si rivolge ai comprimari con il celebre bisticcio “siete/siamo d’accordo?” reso indimenticabile da Totò, Peppino e Giacomo Furia nella Banda degli onesti.