Lo studio del gruppo di ricerca guidato da Marco Sandri, Principal Investigator dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare e Professore dell’Università di Padova, è stato pubblicato sulla rivista “Nature Communications”
Perdita di massa muscolare con conseguente insorgenza di uno stato di debolezza e affaticamento, se non addirittura, in caso di determinate patologie, di minore risposta alle terapie. É il processo noto col nome di atrofia muscolare, indotto dall’invecchiamento ma anche da particolari condizioni quali l’immobilizzazione, la malnutrizione, le infezioni, i tumori, il diabete e l’obesità, le patologie epatiche, cardiache, renali e polmonari. La perdita di forza è una condizione che impatta fortemente sulla qualità della vita delle persone. I meccanismi molecolari che inducono l’atrofia muscolare non sono ancora completamente definiti e, ad oggi, non esistono terapie per prevenirla o contrastarla.
Tuttavia, è stato di recente individuato un gene che regola l’integrità del muscolo scheletrico grazie allo studio del gruppo di ricerca guidato dal professor Marco Sandri, Principal Investigator dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) e Professore Ordinario in Patologia Clinica e Direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova, i cui risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista “Nature Communications”.
Uno degli scopi del laboratorio del Prof. Sandri è di studiare i “geni oscuri” – sconosciuti tra quelli che codificano le proteine: dei 20.000 geni conosciuti, più di 5.000 sono inesplorati, i cosiddetti dark genes – e capirne la loro funzione all’interno del muscolo scheletrico.
I risultati della ricerca, contenuti all’interno dello studio coordinato da Anais Franco Romero e Jean Philipe Leduc-Gaudet (primi co-autori dello studio) hanno portato all’identificazione di un nuovo gene – chiamato MYTHO (Macroautophagy and YouTH Optimizer) – importante per l’integrità del muscolo scheletrico e in particolare del processo di degradazione delle proteine e degli organelli. Questo processo cellulare deve funzionare correttamente e in modo bilanciato: un eccesso di degradazione proteica potrebbe infatti portare a una diminuzione della massa muscolare, mentre al contrario un blocco di questo processo potrebbe portare ad un accumulo di organelli e di proteine danneggiate che impediscono una normale contrazione muscolare.
Nello specifico, i ricercatori hanno visto come l’inibizione acuta di questo nuovo gene abbia un ruolo protettivo in caso di tumore, immobilizzazione e assenza di nutrimenti. Tuttavia, poiché la funzione di questo gene è critica per la pulizia della cellula, non si può ridurre la sua funzione per periodi prolungati perché si causa un accumulo di materiale non degradato, risultando in una degenerazione cellulare e diminuzione della forza muscolare. Quest’ultima situazione sembra verificarsi in una malattia muscolare genetica chiamata Distrofia muscolare di tipo 1 (DM1), in cui i ricercatori hanno trovato una riduzione di espressione di questo nuovo gene. “La scoperta di nuovi geni che controllano la qualità dei nostri muscoli apre nuovi orizzonti non solo terapeutici, con la possibilità di sviluppare nuovi farmaci che preservino la forza, ma anche diagnostici” ha sottolineato Marco Sandri.
“Grazie alla conoscenza di questi geni e del loro funzionamento saremo in grado di identificare nuove cure per tutti i pazienti che hanno malattie ereditarie, di cui non si conosce il gene mutato”.
Lo studio, sostenuto in Italia da Fondazione Cariparo e in Francia dalla Fondazione AFM Telethon è stato condotto in stretta collaborazione con un team di ricercatori della prestigiosa McGill University di Montreal, diretto da Gilles Gouspillou e Sabah NA Hussain.