Kessisoglu: “Ho fondato un’associazione per dare una mano ai giovani. Questa società e questa comunicazione li annichila”
Ha recitato al festival delle “Settimane musicali del teatro Olimpico” un racconto di Wagner sul suo immaginario incontro con Beethoven. Assieme a Sonig Thakerian al violino e a Leonora Armellini al piano, Paolo Kessisoglu, 54 anni il prossimo 25 luglio, per un’ora davvero piacevole ha ricreato l’atmosfera di duecento anni fa evocata dal racconto di Wagner. Lui ha interpretato lo scritto con vivacità, le musiciste hanno incorniciato le parole con altrettanta brillantezza su spartiti – naturalmente – di Beethoven e Wagner.
Ma lei a Beethoven cosa avrebbe chiesto?
Un selfie. (sorride)
E per davvero?
Gli avrei chiesto come ha fatto a comporre così tanta musica. Uno se lo chiede: Ma come cavolo fate… Attenzione, tipi così ci sono anche ai tempi nostri: Sting ha scritto tantissimo. E allora uno si chiede: Ma cosa avete in testa?
Che rapporto ha con Wagner invece?
Beethoven e Wagner erano i compositori preferiti di mio papà. Quindi sono cresciuto ascoltando la Pastorale, la sinfonia numero 6, che era la sua preferita. Wagner lo ascoltava di meno, ma spesso il Tannhäuser. A me piacciono alcune opere come il Lohengrin, che ho visto alla Scala: cinque ore e mezza.
Impegnativo…
Non mi vergogno a dire che sono volate. Mi è piaciuto da matti.
A proposito di musica, lei però nasce come chitarrista
Certo. E la suono ancora.
Cosa?
Ho suonato molto jazz. Adesso sono un po’ arrugginito perché non ho mai tempo, ma suono quello che c’è. Ascolto una musica, anche moderna, mi piace e la eseguo.
Poi c’è il Paolo attore comico. Lei suscita risate anche nella vita reale?
Per le persone che mi incontrano sono molto deludente. Tutti si aspettano che inizi, che so, a raccontare barzellette. Invece sono una persona molto schiva. Del resto, sono genovese… Sono musone, non ho tanta voglia quando qualcuno mi chiede la foto. Però mi sforzo.
È un po’ triste?
No, triste no. Ho entusiasmo e sono una persona molto positiva. Però non sono quello che si vede in televisione.
Anche Jerry Lewis era molto serio, Totò era addirittura triste nella vita in famiglia.
Eh, bel riferimento…
Tra i colleghi di ieri e di oggi c’è qualcuno che ammira?
Ce ne sono tanti di bravi. Mi fa molto ridere Enrico Brignano: tecnicamente è molto, molto bravo. Comunque Tognazzi e Vianello restano dei miti.
E tra i contemporanei, a parte Brignano?
Mi piace molto Antonio Ornano, mi fa ridere tantissimo.
Quanto ci mettete lei e Luca a preparare l’ormai celebre copertina al martedì sera da Giovanni Floris? Come avviene il processo creativo?
Siamo in quattro a produrre: Luca, io e i due autori. Io non sono un gran battutaro, cioè non sono bravo a scrivere le battute, ma neanche Luca. I due autori sono più bravi di noi. Quotidianamente mi segno tutte le sciocchezze che dicono i politici, perché in fondo la nostra è una satira sulla comunicazione dei politici più che una satira politico-ideologica. Mi appunto le cose e poi mettiamo insieme i pezzi. Uno dice: voglio scrivere su quella cosa lì che ha detto il Tizio e butta giù una pagina…
Andrea Pennacchi mi spiegava che tra una cosa e l’altra inizia il lunedì a ragionare sul pezzo che recita il venerdì sera a Propaganda. È così anche per voi?
C’è molto lavoro, questo sì, per noi specie venerdì, sabato, domenica e lunedì. Dovendo commentare l’attualità non puoi riferirti a cose di una settimana prima. Per noi sono stravecchie.
Fruttero e Lucentini, a turno scrivevano mentre l’altro giudicava e magari correggeva e buttava. Voi?
No, direi di no. Può succedere che magari non viene la chiusura, e allora metti il pezzo sul gruppo whatsapp e un altro lo sistema.
Meglio il teatro, il cinema o la televisione?
Il teatro, naturalmente. Però il cinema è un gran mezzo per raccontare le storie che mi appartengono di più. Mi piacerebbe scrivere qualcosa di mio, poi magari una regia può capitare o anche no, ma non vorrei essere sempre un attore di storie altrui.
Paolo non è solo comico, quindi
No, proprio no.
Un sogno nel cassetto, un progetto da realizzare?
Da quando non ci sono più i miei (i genitori sono morti nell’arco di sei mesi, ndr) mi piacerebbe raccontare la storia della mia famiglia.
A partire dal genocidio armeno durante la prima guerra mondiale cui è sfuggito il nonno, naturalmente. Il nome originario della sua famiglia è Keshishian, trasformato nell’attuale Kessisoglu, alla turca
Parlerei anche di quelle vicende, naturalmente, ma non soltanto. Vorrei raccontare la storia di mio padre e mia madre e della relazione con i figli. Naturalmente quello è il punto di partenza, poi ci si apre ad altri argomenti.
Qual è il programma, il personaggio o il pezzo cui è più affezionato?
Forse è banale, ma la partecipazione al festival di Sanremo mi ha lasciato una grande eredità perché è stato un lavoro molto intenso. Per una settimana, poi, hai gli occhi di tutti addosso…
Camera Cafè è al secondo posto?
Forse a pari merito. Il programma mi ha dato molto ma è stato reciproco: credo anch’io di avere dato molto al programma. Quel carattere è venuto fuori in modo forte, non me l’aspettavo.
Visto il ruolo da commentatore dell’attualità, che futuro vede per questo Paese? Ottimista o pessimista?
Non sono negativo sull’Italia…
…ah, per fortuna
Precisiamo. Sono negativo sul mondo in generale.
Addirittura?
Sì. Ma torneremo un po’ all’antico
Vale a dire?
La comunicazione non funziona, i nostri figli sono totalmente devastati da questa comunicazione.
Tant’è che nello spettacolo a un certo punto ironizzava sulla morte di Instagram
Da due mesi ho aperto un’associazione benefica che si occupa di giovani. Secondo me questo è un problema serio e nessuno lo capisce. La mia associazione si chiama “C’è da fare”: vogliamo aiutare i ragazzi che si isolano dal mondo. Il disagio giovanile è in crescita, lo dicono tutte le statistiche.
Antonio Di Lorenzo