Si alzano le quotazioni della presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, che potrebbe essere eletta presidente della Repubblica addirittura nella seduta di domani mattina.
A favore di Maria Elisabetta Alberti Casellati, secondo le indiscrezioni che giungono dall’assemblea dei grandi elettori alla Camera, giocano due fattori: l’assenza di una contro-candidatura comune del centrosinistra e Cinque stelle e le divisioni che spezzano il fronte dei partiti. A votare l’attuale presidente del Senato è disponibile naturalmente il centrodestra che potrebbe essere sostenuto anche da altri elettori trasversali a diversi gruppi, anche convinti dalla promessa di non sciogliere le Camere e quindi salvaguardare la legislatura (e il reddito) dei peones del parlamento. Quanto sia frammentato il panorama è evidente solo pensando al fatto che il gruppo misto è attualmente composto da 140 elettori: se anche solo un paio di decine fossero d’accordo sul suo nome, contribuirebbero in modo decisivo a far pendere la bilancia dall’una o dall’altra parte. Un’altra delle difficoltà che si incontrano in questa elezione è dovuta al fatto che i leader non riescono più a controllare i gruppi parlamentari, che sono davvero in libertà. Tutti questi motivi portano a conteggi beneaugurantiper la presidente del Senato:alla Casellati gli esperti valutano che possano arrivare 560 voti, ben oltre la quota di 505 necessaria all’elezione. L’ipotesi di un candidato concorrente ruota ormai attorno al nome di Casini, tramontata l’ipotesi Riccardi, piuttosto debole in partenza, e affossata quella di Elena Belloni. Su Casini non c’è la disponibilità della Lega, che invece è disponibile ad appoggiare Casellati. Il nome della senatrice padovana è stato oltretutto tenuto fuori dalla rosa dei tre candidati presentata da Salvini alla discussione (Moratti, Pera e Nordio) proprio per evitare che sia bruciato prima del tempo. È una strategia consueta quella di giocare a carte coperte nelle nomine, tanto più nel caso del Capo dello Stato. Anche il nome di Matterella, sette anni fa, giunse all’ultimo momento. Quanto sia praticabile l’ipotesi Casellati dipenderà dall’esito del vertice tra i leader che si svolgerà nella serata (e presumibilmente nella notte) di oggi. E può darsi che le diplomazie al lavoro e i “pontieri” giungano a un risultato diverso. Sui tre nomi presentati dal centrodestra per varie ragioni è difficile trovare il consenso degli altri leader che formano la maggioranza: a questo punto, se vale la regola dell’ognuno per sè, il centrodestra farebbe uscire dal cilindro un quarto nome, appunto quello della presidente del Senato, sul quale è più facile creare una maggioranza vincente, sia pure di rottura. In ballo, naturalmente, c’è sempre il nome del premier Draghi, che però incontra diverse difficoltà, vuoi per la successione a palazzo Chigi (gli appetiti dei partiti nel prevedibile rimpasto non sono di facile composizione) vuoi per il rischio di determinare un’autentica modifica strutturale, nei fatti se non nella lettera, della forma di governo: con SuperMario al Quirinale e un nome di suo gradimento a palazzo Chigi, c’è davvero il rischio di trasformare la repubblica da parlamentare a semi-presidenziale. E questo è uno scenario che preoccupa molti, dai giuristi ai politici. Senza contare che su Draghi al Colle esistono perplessità di molti, a iniziare dalla Lega di Salvini: nessuno discute le qualità dell’uomo ma sono in molti ad augurarsi che “il nonno a servizio delle istituzioni”, come lui s’è definito, continui a lavorare a palazzo Chigi per proseguire nell’impegno assunto e con il Pnrr da gestire. Cosa che, peraltro, è invece assai improbabile che faccia: dopo essere stato lanciato nel gioco del Colle e dopo che lui stesso, due giorni fa, ha preso in mano il pallino per giocarsi la partita (un comportamento istituzionale davvero inconsueto) se non dovesse arrivare al Quirinale è assai probabile che presenti le dimissioni e sbatta la porta. Ultima considerazione che preoccupa gli osservatori politici, e che potrebbe pesare come una controindicazione per Casellati, è che l’ipotesi di un capo dello Stato eletto con una maggioranza meno ampia di quella che sostiene il governo non s’è mai verificata (invece è accaduto il contrario) e porterebbe conseguenze difficilmente ipotizzabili al momento. Non si può escludere nemmeno le elezioni anticipate. Se la Casellati dovesse essere eletta, comunque, si romperebbe quella che Marco Ardemagni e i conduttori della trasmissione Caterpillar su Radiodue hanno definito come “la maledizione dell’Adriatico”: c’è infatti un’immaginaria linea che divide longitudinalmente l’Italia separando le Regioni che non hanno mai avuto un Presidente della Repubblica eletto tra i 12 che si sono succeduti nella storia repubblicana dalle altre. Queste regioni orfane di un Presidente si trovano quasi tutte, appunto, sull’Adriatico: si tratta di Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Marche, Abruzzi, Molise, Puglia, Basilica, Calabria. Neanche Lazio e Umbria ne hanno mai avuto uno, ma in questo caso Ardemagni & co. parlano dell’effetto di un “Tabù del Tevere”. Un gioco, naturalmente, che però spiega in modo simpatico una realtà indubitabile. Antonio Di Lorenzo
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