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Cronaca
16.11.2025 - 13:23
Alberto Trentini, foto pubblicata su facebook da Simone Venturini
C’è una vita sospesa dietro le sbarre di Caracas e una madre che, da un anno esatto, non smette di chiedere di non spegnere la luce su quel nome: Alberto Trentini. Il cooperante del Lido di Venezia, 46 anni, è diventato il simbolo di un’attesa che logora e di una battaglia civile che chiama a raccolta cittadini, istituzioni e media.
Il 15 novembre 2024, a un posto di blocco in Venezuela, Alberto Trentini viene arrestato. Da allora è detenuto in un carcere di Caracas. È trascorso un anno e, mentre il tempo scorre, il suo caso resta sospeso, tra carte che non avanzano e una famiglia che chiede risposte.
“È passato un anno da quando Alberto è stato arrestato in Venezuela, un anno di attesa insopportabile per lui e per noi”, scrive Armanda Colusso in un intervento pubblicato in prima pagina su Repubblica. La sua richiesta è chiara: “Non si spenga la pressione mediatica”. E ancora: “Solo una forte pressione può convincere chi ha il potere ad agire e riportarlo finalmente a casa”. Lasciando intendere che non si sia al momento fatto abbastanza per rimpatriare il figlio.
Coordinatore della Ong francese Humanity and Inclusion, Alberto lavorava a sostegno delle persone con disabilità. Un impegno di lungo corso che la madre riassume così: “Alberto ha dedicato la sua vita agli altri, ora è lui ad avere bisogno di voi”.
Secondo la famiglia, Alberto vive da dodici mesi in condizioni difficili, mentre il procedimento giudiziario a suo carico è fermo. Un quadro che accresce il senso di urgenza e alimenta la richiesta di un intervento deciso da parte di chi può incidere sul suo destino.
Sabato la famiglia parteciperà a un incontro pubblico a Milano dedicato al caso. Un passaggio pensato per tenere alta l’attenzione e strutturare una rete di sostegno: la visibilità, sottolinea la madre, è parte della strategia per sbloccare l’impasse.
La famiglia di Alberto affida alla pubblica opinione un ruolo determinante: continuare a scriverne, parlarne, insistere. Non è clamore fine a sé stesso, ma la consapevolezza che l’attenzione mediatica può accelerare decisioni e responsabilità. “Scrivete, insistete, perché chi deve decidere lo faccia senza più tentennamenti”, è l’appello diretto a cittadini, istituzioni e media.
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