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Vicenza, Teocoli racconta le sue tante vite da ballerino, cantante, attore e comico. E ricorda molti vip

©_ANGELO_TRANI

Teo Teocoli in una foto di Angelo Trani

Vicenza, Teo Teocoli accende la sua macchina del tempo dei ricordi di una vita

Teo Teocoli in una foto di Angelo Trani
Viveur, ballerino, cantante, attore, comico. Teo Teocoli, all’anagrafe Antonino ha vissuto almeno quattro vite: ha attraversato sei decenni, ogni genere di spettacolo e tutti i mezzi, dal teatro al cinema fino alla tivù. E adesso che si avvicina il compleanno, il 25 febbraio, lo spettacolo (applauditissimo) di Vicenza offre l’occasione di salire sulla sua personale macchina del tempo dei ricordi. Tra pochi giorni lei compie gli anni. Non sono pochi, settantasette… …come Gianni Morandi… Già. Bel duo: tutti e due cantanti. Ma ne parliamo dopo. Lei è soddisfatto della sua vita? Voglio dire: guardando indietro c’è qualcosa che non ha fatto e vorrebbe fare? Mah. Il cinema dopo alcuni film l’ho scartato perché avevo sempre negli occhi la grande commedia all’italiana. Ho girato “Il padrone e l’operaio” nel 1975 con Renato Pozzetto, poi è vero anche un film con Alvaro Vitali… Con Pozzetto lei interpreta un giovane playboy. Poi qualche anno dopo torna sul tema e gira “L’onorevole con l’amante sotto il letto” con Janet Agren, bellissima. Non solo. Anche bravissima e serissima. In una scena lei doveva rompermi una caraffa in testa, naturalmente finta, ed è andata bene. Poi l’ho fatto io e le ho procurato una ferita alla fronte sanguinante. S’è parecchio arrabbiata. Torniamo ai desideri inappagati. Mi piacerebbe interpretare la commedia seria, ma come faccio? Mi viene sempre da ridere… No, ho fatto tutto quello che volevo. Compresi gli sganassoni a Massimo Boldi. Prego? Massimo solo a guardarlo fa ridere. Io lo massacravo per accentuare il personaggio. Quando c’era da picchiare l’ho picchiato davvero: le sue battute nascevano da sberle vere. Ti ricordi quando diceva: “Che dolore tremendo…” (Imita la voce di Boldi). Era vero. Poi l’effetto comico nasceva dal fatto che aggiungeva: “Sentito niente”. Quando si parla di tv con lei è d’obbligo citare “Mai dire gol”. Fu un successone. Come andò? Andò che Marco Santin s’era rotto una gamba. Loro erano anche miei autori, così chiesi alla produzione se avevano bisogno di me per sostituirlo. Mi risposero: “Ci faresti un favore”. Andai in trasmissione e diventai il terzo. Gratis, perché lo volevo io. Il secondo anno mi obbligarono a prendere i soldi. Erano gli anni di molti personaggi che nascevano. Come no. C’erano Aldo e Giovanni, ancora senza Giacomo che  faceva parte del duo “Hansel & Strudel”. Li ho fatti entrare in trasmissione. C’erano Gennaro e Luis che venivano da Antenna tre: identici ai due vecchietti dei Muppet. Sono tanti i personaggi che mi devono qualcosa, perché ero il loro testimonial. Per esempio? Hai voglia: Massimo Boldi, Gene Gnocchi, Antonio Albanese, Giorgio Faletti… Con me hanno imparato perché sono bravo a fare la spalla. Questo serve, mica essere presuntuosi. Diego Abatantuono ha chiesto il permesso e s’è messo in disparte per un mese a guardare me e Boldi lavorare. Mica poi ci ha ricambiato, eh? Poi dicono che sono io quello che ha un cattivo carattere, che sono un rompiballe… Perché lei ha questa fama? Perché faccio solo quello che voglio e quello che mi passa per la testa. I dirigenti dicono così e io faccio cosà. Ha sbattuto la porta anche di casa di Berlusconi, ai tempi di Emilio Sì, ma poi mi ha richiamato per lavorare nelle sue televisioni. Quando ha capito di essere bravo? Non lo capisci da solo, è il pubblico che te lo dice. Quanti personaggi ha creato? Credo una decina… Ma le imitazioni sono molte di più Sì, ritengo un trenta-quaranta. Comunque so imitare tutti. Prenda Brunetta, l’uomo che sussurrava ai pony. (Si abbassa sotto la poltrona e ride) Come nascono i personaggi? Da un lavoro comune: io noto alcune cose, poi i testi li scrivono i miei collaboratori. A me piace improvvisare. Una tecnica che ha imparato al Derby? È stato l’unico vero cabaret. Lì si viveva davvero come nel cabaret del film interpretato da Liza Minnelli. C’erano tutti al Derby nei primi anni Sessanta. Come no: Jannacci, Gaber, Toffolo, Profazio, Cochi e Renato, poi veniva anche Fred Bongusto, sono arrivati perfino i Cetra… C’era Bruno Lauzi che noi prendevamo in giro chiamandolo in tutti i modi, Guazzi, Lazzi ma mai Lauzi. Lei è nato come cantante. Ha partecipato perfino a un festival di Napoli. Era il 1967, la Napoli era quella del film Operazione San Gennaro che si svolge proprio la sera della finale del festival. La mia canzone era una cagata paurosa: “Carulina non parte cchiù”. (Canta in dialetto) Ho provato a vivacizzarla, ma senza fortuna. Dal fondo della sala è partito un: “Ricchione”. Eppure a quel tempo conoscevo bene anche dialetto napoletano… Come mai? Perché dopo le mie bocciature a scuola ero in aperto dissidio con la famiglia. Papà voleva che diventassi ragioniere, figuriamoci. Io volevo cantare. Così me ne andai dagli zii a Napoli vissi un anno e mezzo con loro. Senza sapere che molti anni dopo sarebbe nato a Napoli il suo personaggio più famoso, Felice Caccamo. Un tributo a Luigi Necco, vero giornalista sportivo. Quando lo vide mi chiese se lo stato prendendo per il culo. (Lo imita in dialetto napoletano). No Luigi – gli risposi – tu sei un emblema di Napoli. Però era vero che i tifosi che comparivano alle sue spalle durante i collegamenti se li portava lui. Lei nella sua vita ha incontrato tanti vip e personaggioni: ne citi uno. L’avvocato Agnelli, che mi chiese: lei di dov’è? (imita la voce con la erre arrotata). Di Niguarda, risposi. E lui: ma a Niguarda si scia? S’è divertito negli anni Sessanta, eh? Ero simpatico, sapevo anche stare a tavola. Frequentavo il bel mondo: Saint Tropez, Brigitte Bardot. Era impagabile stare a guardare il mare e la luna parlando tre ore con una bella donna di cui non posso fare il nome… Si sforzi. Jane Fonda. Mai provato a fare niente, sia chiaro, perché c’era suo marito Roger Vadim a due passi. Lei ha conosciuto anche Salvador Dalì. Certo, ho vissuto a casa sua in Catalogna quando avevo 19 anni. C’era anche sua moglie Gala, che mi adorava. Aveva 90 anni. E c’era anche Amanda Lear che avrà avuto 15-16 anni. Ho visto nascere nello studio di Dalì alcune opere che sono diventate celeberrime, come gli elefanti con le gambe a stecchino. È vero che ha fatto la corte a Orietta Berti? Come no. Le chiedevo se potevamo andare a bere una bibita, mica alcolici, ma lei mi rispondeva sempre di no. Poi capii perché: abitava dalle suore. Alle sei di sera chiudevano il portone. In una situazione particolare ha conosciuto anche Lucio Battisti: come accadde? Eravamo a Torino, all’Hollywood, e ci avevano licenziato. Dovevo riportare a casa tutti gli strumenti: un giovane si offerse di darmi una mano e sistemò tutto a meraviglia nel furgone. Era Lucio. Ci conoscemmo e in seguito ci rivedemmo a Milano, quando lo portai a conoscere i discografici, tra cui Mariano Rapetti, padre di Giulio, ossia di Mogol. Erano tempi in cui tutti erano amici di tutti. Lei ha raccontato questa vicenda da Fabio Fazio… …chi, il rabbino? Il papa mica s’è accorto che Fazio è un rabbino… (ride). E la Litttizzetto è una perpetua: stanno insieme da vent’anni. C’è stata un po’ di polemica dopo le sue dichiarazioni. Come se fosse suo il merito di canzoni storiche come “Acqua azzurra, acqua chiara”. Mai detto questo. Ho detto che magari, aspettando sul divano dello studio di Mariano Rapetti, Lucio avrà incontrato il figlio Giulio. Ma Teo ha un maestro? E chi è? Il mio ispiratore è stato Adriano. Avevamo le stesse passioni: il rock e i movimenti. Lui però si ispirava a Elvis Presley e a Jerry Lewis. Io ci metto molto più del mio. Adriano Celentano ha sempre ragione? Quando ho inciso Nessuno mi può giudicare lui l'aveva bocciata. E sosteneva che Lucio Dalla non avrebbe mai venduto dischi. Del resto, lei è stato anche ballerino di Hair, lo spettacolo scandalo del 1969 con voi ballerini nudi. Non c’ero solo io, c’erano anche Renato Zero e Loredana Bertè. Famiglia a parte, il Milan è il massimo nella vita? Per forza, se no non avrei passato tutto quel tempo allo stadio. Però un altro suo personaggio, il presidente dell’Inter Peppino Prisco, negli ultimi anni diceva di volersi iscrivere a un Milan club perché quando sarebbe morto se ne sarebbe andato uno dei loro e non un interista… E io rispondevo dicendo che Prisco guidava l’auto in piedi. (Imita la voce di Prisco). Si arrabbiava moltissimo. Com’è Teo nella vita privata? Magari serio e corrucciato com’era Totò? Perfino triste come molti comici depressi in privato? Triste mai. C’è chi non mi telefona più perché è stanco di essere travolto dalle battute. E in casa cosa le dicono? Come vuole che viva con quattro donne, moglie e tre figlie? Non ho mai ragione. E se faccio una battuta replicano: basta fare il cretino, papà.

Antonio Di Lorenzo

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