sabato, 27 Aprile 2024
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A Padova arriva l’arte orafa delle sorelle Banci con “In luce l’oscurità volgendo”

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Dal 6 agosto al 10 settembre, i preziosi ispirati al periodo urbinate di Banci Banci, in esposizione ad ingresso libero nel cuore dell’Urbs picta

Ha aperto nella giornata di ieri, domenica 6 agosto, in Galleria Cavour a Padova “In luce l’oscurità volgendo”, la mostra dedicata alle opere delle artiste Daniela e Marzia Banci, in esposizione fino al 10 settembre.

L’esposizione mette in mostra una collezione di gioielli inediti ispirati alle Marche, terra d’origine delle due artiste, impegnate a rileggere ed interpretare le vicende storico-culturali del ducato di Urbino attraverso i loro preziosi, nel rispetto di una visione intimamente personale. Un lavoro unico nel suo genere, nel quale le Banci ripercorrono l’evoluzione del Ducato dalle origini fino all’estinzione della dinastia Della Rovere, includendo figure di spicco che hanno interagito, a vario titolo, con i duchi.

Marzia e Daniela Banci
Marzia e Daniela Banci

A 42 anni dall’apertura del primo laboratorio orafo delle artiste a Montegrotto Terme, ai piedi dei Colli Euganei, in provincia di Padova, il 5 agosto 1981, Daniela e Marzia Banci omaggiano il loro passato quale punto di partenza dello sviluppo della ricerca sul gioiello contemporaneo.

Entrambe laureate in architettura, nel riflettere sulle loro origini, hanno compiuto un percorso retrospettivo e introspettivo che ha condizionato il loro linguaggio espressivo, elaborando in maniera individuale, ma complementare, la storia di Urbino attraverso spunti e riflessioni.

Se Marzia Banci caratterizza i suoi gioielli attraverso le componenti storiche e architettoniche urbinati, riproponendole su spille dedicate alle rocche che esaltano la bellezza di queste fortezze, gemme incastonate nel territorio marchigiano, Daniela Banci svolge la sua ricerca artistica partendo dallo Studiolo del Palazzo Ducale di Urbino, l’ambiente più intimo dell’edificio, ispirandosi alla personalità di Federico da Montefeltro, alla sua cultura, alle sue scelte intellettuali ed estetiche.

Così, le spille di Marzia Banci, gioiello che trova un’ideale collocazione vicino al cuore di chi le indossa, fanno rivivere i duchi della dinastia Montefeltro e Della Rovere su lastre di argento, tra cornici d’oro e acciaio, incise ed ornate da pietre che alludono alla storia o ai caratteri. Un dialogo con professionisti e artigiani che hanno contribuito a valorizzare l’opera orafa con piccoli dipinti su lastra d’argento. Un modus operandi che rimanda alle botteghe rinascimentali, fucine di creatività, con riferimenti alla storia, alla filosofia e alla natura, quella dell’infanzia serena nelle campagne marchigiane, condivisa su composizioni fortemente evocative.

In questo viaggio nel tessuto d’Italia, Daniela Banci si lascia ispirare dagli Uomini illustri dello Studiolo: filosofi, poeti, scienziati, uomini di ingegno, dottori della Chiesa, esempi di virtù per il Duca. La collana Anchise Enea ed Ascanio (Europa semperfugiens) ricorda Virgilio con l’episodio dell’Eneide attraverso un girocollo con tre dischi che alludono ai protagonisti, assimilando l’Europa ad Enea, sempre errante. Anche la spilla Il mito della caverna omaggia Platone, come la collana Civitas Terrena – Civitas Dei, dedicata a Petrarca e a Sant’Agostino, costituita da due lastre rettangolari, incise e sbalzate, separate e unite al tempo stesso. Anche la musica dello studiolo ispira Daniela Banci: dall’inno della collana Canzona Bella Gerit, allusione ad un pentagramma con le note musicali, a quella su Mnemosine e le Muse sul suo significato mitologico: opere in cui la continua manipolazione delle forme geometriche, unita alle inusuali soluzioni tecniche applicate, genera una purezza formale chiarissima che informa in maniera eccelsa tutte le composizioni.

In luce l’oscurità volgendo, in collaborazione con l’assessorato alla Cultura del Comune di Padova, sarà aperta tutti i giorni dal 6 agosto al 10 settembre, dalle 11 alle 22, in Galleria Cavour, nell’omonima piazza, ad ingresso libero.