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Cultura e spettacolo
24.11.2025 - 14:27
@foto Serena Pea
Il passato continua a parlarci e il teatro, come sempre, ne diventa cassa di risonanza. Accade con “The Rest Will Be Familiar to You from Cinema”, il testo di Martin Crimp che rilegge in chiave moderna Le Fenicie di Euripide, in scena alla Sala del Ridotto del Teatro Verdi il 28 e 29 novembre alle ore 17.
A guidare gli interpreti è Veronica Cruciani, affiancata da Gianluca Maria Bozzale. Sul palco saliranno le attrici e gli attori diplomati dell’Accademia Teatrale Carlo Goldoni, protagonisti di questo allestimento prodotto dal TSV – Teatro Nazionale. Il progetto si inserisce nell’ambito del percorso formativo Te.S.eO. Veneto – Teatro Scuola e Occupazione, nato grazie all’accordo tra Regione Veneto e Fondazione Teatro Stabile del Veneto.

Gli interpreti – Livia Andruccioli, Valentina Ines Bonato, Tecla Bossi, Leonardo Capaldi, Cecilia Catellani, Massimo Ghiro, Alice Maffei, Gabriele Pomettini, Linda Iris Posani, Pierluigi Rotondo e Andrea Roversi – riportano sulla scena uno dei lavori cardine del loro terzo anno di formazione, ora divenuto produzione professionale del Teatro Nazionale.
La messa in scena nasce dalla traduzione di Enrico Luttmann; le scenografie sono firmate da Federico Pian, le luci da Marco Calzolari, i costumi da Lauretta Salvagnin. Norman Quaglierini cura i movimenti scenici.

Nelle sue note, Veronica Cruciani descrive un’opera che non mostra la guerra, ma la sua ombra. Tebe diventa qualsiasi luogo del presente, dove i conflitti logorano le relazioni e il potere divide.
Crimp, spiega la regista, trasforma la tragedia euripidea in una riflessione su come guardiamo il dolore oggi: non eroi trascinati dal destino, ma figure sospese, frammentate, che parlano un linguaggio spezzato, quotidiano, come un’eco lontana del mito. La tragedia si compie nel ricordo più che nell’azione, “come un film che ritorna”.
La scena scelta da Cruciani è una classe, spazio reale e mentale insieme: banchi, sedie e lavagne diventano resti di una memoria collettiva che fatichiamo a trattenere. Gli attori maneggiano teche di vetro, piccoli reperti che custodiscono ciò che sopravvive alla catastrofe: fragili custodii che trasformano la memoria in gesto, corpo, resistenza.
Il Coro, composto da giovani donne, è il cuore vivo del lavoro: non figure mitologiche, ma testimoni del presente, appartenenti alle periferie e ai margini dove la storia incrocia le vite quotidiane. Attraverso di loro, il mito antico si trasforma in un rito civile che interroga il nostro tempo.
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