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29.09.2025 - 21:36
Non è mai semplice parlare di pace senza cadere nella retorica. Lo sa bene Mario Raffaelli, politico, diplomatico e mediatore di lungo corso, che lo scorso 26 settembre è stato a Martellago, ospite dell’associazione culturale Progresso Civico con il patrocinio del Comune, per presentare il suo ultimo libro Si fa presto a dire Pace (Marcianum Press).
Il titolo è volutamente provocatorio. “Si fa presto a dire pace” – spiega Raffaelli – perché non basta predicarla o sventolare slogan, marce e firme, per quanto nobili possano sembrare. La pace, al contrario, è un processo lungo e complesso che richiede la costruzione di contesti nuovi: istituzioni solide, garanzie condivise, condizioni economiche favorevoli. In altre parole, strumenti capaci di trasformare il conflitto da scontro armato a confronto politico.
Raffaelli parla con cognizione di causa. Da parlamentare, sottosegretario agli Esteri e poi come inviato speciale, ha lavorato in alcuni dei teatri più complessi del mondo: Mozambico, Somalia, Corno d’Africa, Nagorno Karabakh. È stato tra i protagonisti della storica mediazione che nel 1990 portò il governo mozambicano e i ribelli della RENAMO a deporre le armi, accanto al cardinale Matteo Zuppi, Andrea Riccardi e Jaime Gonçalves della Comunità di Sant’Egidio.
Quel negoziato, spesso citato come “modello Mozambico”, dimostrò che la diplomazia può davvero cambiare il corso della storia. Non perché i nemici diventino amici, ma perché si crea un equilibrio che consente di restare diversi senza ricorrere più alla violenza. Un metodo che Raffaelli mette a confronto con altre esperienze internazionali, da quelle in Nagorno Karabakh fino al ruolo dell’Italia nel Corno d’Africa.
Il libro non è solo memoria, ma anche un avvertimento per il presente. “Gli interessi divergenti non spariscono con gli appelli alla fratellanza” scrive Raffaelli, ricordando che l’Europa ha conosciuto secoli di guerre e solo dopo la Seconda guerra mondiale è riuscita a garantire ottant’anni di stabilità, grazie alla creazione di istituzioni comuni a partire dall’acciaio e dal carbone. “Non siamo diventati più buoni: è cambiato il contesto”.
Ecco allora la lezione che l’autore porta a Martellago: la pace non è un’utopia, ma neppure un dono spontaneo. È il frutto di una paziente costruzione collettiva, fatta di diplomazia, compromessi, pressioni economiche e responsabilità politica e in cui l’Europa deve avere un ruolo centrale. Un lavoro che richiede visione e tenacia, lontano dagli slogan e vicino ai dossier concreti.
In tempi in cui i conflitti tornano a bussare alle porte dell’Europa, l’incontro con Mario Raffaelli diventa un’occasione preziosa per riflettere sul fatto che la pace, oggi più che mai, non è mai data una volta per tutte, ma va costruita ogni giorno.
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