Le esperienze dei ragazzi dei primi anni Ottanta che sognavano il "Califfo" e il "Ciao"
Una pubblicità d'epoca del Velosolex
Incrociando sulla strada qualche vecchio motorino a. C. (che sta per avanti Cristo ma anche ante catalitico) il puzzo della miscela olio/benzina mi suscita sempre inebrianti ricordi di quella particolare fase della giovinezza in cui l’essere umano, soprattutto maschio, attraversa il passaggio cruciale dalla trazione animale a quella fossile: non si inforca solo un motorino, ma si entra in possesso dei superpoteri. Nella fattispecie io e i miei fratelli diventammo più potenti, veloci e rumorosi, grazie a un vetusto Velosolex di colore nero, una specie di bici-motorino di produzione francese con cui la mamma si recava a scuola nei primi anni di insegnamento. Tramite una leva si abbassava il piccolo blocco motore posto sotto il manubrio e un rullo che veniva a contatto con la ruota faceva girare lo pneumatico. Due o tre pedalate, si mollava la frizione e la magia si metteva in moto scoppiettando. Dal giardino di casa, passammo alla via e poi in giro per tutto il quartiere, a volte facendo a turno, ma più spesso aggrappati tutti e quattro con figurazioni da circo equestre. Il divertimento durò a lungo: con un litro di carburante il Velosolex faceva anche 50 km, poi accadde che qualcuno a corto di denaro ma ricco di idee, riempì il serbatoio con un bottiglione di trielina. In un assolato pomeriggio di luglio il solex si staccò dal suolo in una corta parabola, fiammeggiando come il carro di Fetonte e con un botto e una vampata arancione concluse la sua formidabile esistenza. I primi anni Ottanta furono un periodo in cui tutti in qualsiasi settore cercavano e volevano la novità, quindi rimaneva reietto e indesiderato tutto un arsenale di oggetti degli anni Sessanta e Settanta, motorini compresi. A dire il vero erano piuttosto brutti e spesso caratterizzati da un telaio a tubone come il Malanca Lord, il Garelli Vip o il Cimatti Piper. Quello che batteva tutti era il Califfone verde bruco, spesso in abbinata con il parabrezza gonnellato in morbida cerata grigia: il trionfo del muratore all’entrata nel cantiere. Davanti ai figli di papà che sfrecciavano sui fiammanti e smilzi Ciao, noi possessori di antiquati congegni a scoppio acquisivamo intanto spaventose conoscenze tecnico-meccaniche, coscienza di classe e soprattutto odio sociale. Dal Solex i miei fratelli progredirono a un rassicurante Corsarino Morini e un delinquenziale Romeo Skorpio, mentre io rimasi un po’ al palo con un tamarroso Demm Trio, che però fece il suo porco dovere portando a compimento un raid Vicenza-Asiago-Vicenza in sette ore con tanica da tre litri di benzina legata al serbatoio con lo spago. Al passaggio di categoria al 125 cc con patentino, mi ritrovai seduto su una Lambretta posseduta dal demone della rottura Non c’era giorno che non si spaccasse qualcosa, la leva della frizione, il filo del cambio, il fanale davanti, la pedivella dell’accensione. Correndo per strada poteva trasformarsi in una motosilurante perché spesso si staccavano pezzi di o tutta la marmitta o addirittura il cavalletto intero da sotto la pedana. E poi per una volta che il motore si accendeva, dieci volte bisognava ricorrere alla manovra a spinta, cosa del tutto inaccettabile e devastante quando capitava davanti a casa della tipa/ragazza/morosa che eri passato baldanzosamente a prendere. Il giorno che la rimpiazzai con una Vespa Px Arcobaleno usata, compresi appieno il significato del passaggio dall’età della pietra alla civiltà mesopotamica, dalle oscurità medievali al Rinascimento, dalla dannazione del Vecchio alla speranza del Nuovo Testamento. La Vespa partiva sempre, non perdeva pezzi, non si ingolfava, non dovevi svitare-pulire-riavvitare la candela ogni due giorni: insomma non dovevi più temere il peggio, ma aspettarti il meglio, che poi è questa, e altro non dovrebbe essere, la filosofia della gioventù. E a pensarci bene di ogni età.
Alberto Graziani
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