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62° anniversario della tragedia del Vajont

Vajont, 62 anni dopo: la memoria che unisce l’Abruzzo e Longarone

Dal sacrificio degli operai abruzzesi alla solidarietà post-tragedia: una storia di legami profondi, impegno civile e memoria condivisa che attraversa il tempo e i territori

Era il 9 ottobre 1963 quando una frana colossale si staccò dal Monte Toc, riversandosi nell’invaso del Vajont. L’onda generata dall’impatto fu devastante: in pochi attimi travolse Casso, parte di Erto, Longarone e altri centri del fondovalle. Le vittime furono quasi duemila. Sessantadue anni dopo, quella tragedia resta viva nella coscienza collettiva del Paese — e in particolare in quella dell’Abruzzo, legato al Vajont da fili che intrecciano lavoro, dolore, giustizia e memoria.

Gli “acrobati delle dighe” di Lettomanoppello

Il rapporto tra l’Abruzzo e il Vajont nasce già prima del disastro, durante la costruzione della diga. Decine di operai provenienti da Lettomanoppello, noti come gli “acrobati delle dighe” per le loro doti nei lavori in quota, furono tra i protagonisti di un’impresa ingegneristica tanto ardita quanto pericolosa. Uno di loro, Antonio Nicolai, perse la vita durante i lavori: un tributo silenzioso al prezzo umano pagato in nome del progresso.

Soccorso e giustizia: l’impronta abruzzese

La presenza abruzzese si fece sentire anche nei tragici momenti successivi al disastro. Tra i primi soccorritori che giunsero a Longarone il 10 ottobre c’era il tenente degli Alpini Vittorio Valentini, originario di Francavilla al Mare. Ma fu anche sul piano giudiziario che l’Abruzzo assunse un ruolo di rilievo: i primi due gradi del processo per accertare le responsabilità della tragedia si svolsero presso il Tribunale de L’Aquila, a causa di legittima suspicione. Gli atti rimasero custoditi lì fino al terremoto del 2009, che colpì il capoluogo abruzzese.

Nel 2011, proprio per rafforzare questo legame, L’Aquila e Longarone firmarono un patto d’amicizia.

Un giudice tra Marche e Abruzzo

Anche la provincia di Teramo conserva un legame con la vicenda. Mario Fabbri, giudice istruttore delle indagini sul disastro, era marchigiano d’origine ma aveva lavorato negli anni Cinquanta presso la Pretura di Nereto. Un nome divenuto simbolo di rigore e coraggio civile nel difficile cammino verso la verità.

Memoria che continua: libri, mostre e progetti

Nel tempo, il legame tra l’Abruzzo e la comunità colpita dal Vajont non si è mai interrotto. Nel 2005, Teramo ospitò una mostra fotografica dedicata alla tragedia, promossa in collaborazione con la Pro Loco di Longarone e alla presenza di rappresentanze istituzionali.

Nel maggio 2025, questo rapporto si è ulteriormente rinsaldato grazie a un nuovo patto d’amicizia siglato tra Teramo e Longarone, frutto dell’impegno costante di Andrea Di Antonio, storico e divulgatore teramano. Autore del volume “La notte più buia della valle”, Di Antonio ha dato vita anche al progetto multimediale “Voce del Vajont”, che raccoglie testimonianze e materiali d’archivio per preservare la memoria della tragedia.

Abruzzo presente: il simbolo che attraversa le generazioni

Nel settembre 2024, Di Antonio ha preso parte alla XIX edizione de “I Percorsi della Memoria”, portando una bandiera con i colori dell’Abruzzo e la scritta “Abruzzo presente”. In quell’occasione ha donato al Comune di Longarone una medaglia commemorativa, poi esposta l’8 ottobre scorso nella Sala Popoli d’Europa durante il rinnovo dei gemellaggi e dei patti di amicizia.

A organizzare la cerimonia, la prof.ssa Piera Del Vesco, consigliera comunale delegata ai gemellaggi, che ha voluto imprimere un forte significato simbolico e comunitario a questo momento.

Una memoria che ci interroga

Sessantadue anni dopo, il Vajont resta una ferita aperta e un monito indelebile. Ma anche una lezione di solidarietà e responsabilità civile. L’Abruzzo, con la sua storia intrecciata a quella della valle del Piave, dimostra che la memoria non è solo commemorazione, ma impegno continuo per la verità, la giustizia e il rispetto del territorio.

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