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Fragilità invisibili nell’Italia dei diritti

Adria – Il caso di “Mario”: quando i diritti arrivano  tardi

Il caso di un cittadino Italiano, padre e lavoratore deceduto ad Adria dopo aver atteso per mesi la residenza e quindi la possibilità di avere il medico di base.

Adria: funerale di "Mario"

Adria: funerale di "Mario"

L’uomo, 65 anni, era un lavoratore con contratto a tempo indeterminato. Solo poche settimane prima della morte ha ottenuto la residenza anagrafica e ha potuto sposare la sua compagna. La sua vicenda è raccontata utilizzando un nome di fantasia  per non rendere riconoscibile il figlio minore.

Adria – “Le lacrime esprimono la convinzione di una vita che non deve andare dispersa.” Con queste parole, don Fabio Finotello ha aperto la cerimonia funebre del cittadino italiano che chiameremo “Mario”, celebrata nella chiesa di Cristo Divin Lavoratore, nel quartiere Carbonara. Davanti a una trentina di persone – tra amici, familiari, docenti e tre consiglieri comunali di minoranza – sono risuonate le parole semplici ma taglienti del sacerdote, che hanno fotografato una storia di diritti negati e risposte arrivate troppo tardi.

“Mario”, 65 anni, italiano, lavoratore con contratto a tempo indeterminato e padre di un bambino di 7 anni, ha vissuto per molti mesi senza residenza, senza medico di base, senza accesso al Servizio Sanitario Nazionale e senza la possibilità di sposarsi. Solo a fine aprile il Comune di Adria gli ha finalmente concesso la residenza anagrafica: un diritto fondamentale che, nonostante le ripetute richieste, gli era stato negato per oltre otto mesi.

Quel riconoscimento, però, è arrivato troppo tardi. La malattia, già in fase avanzata, non ha lasciato alla burocrazia il tempo di rimediare ai propri ritardi. “Mario” è morto sabato 24 maggio nell’hospice di Adria. Poche settimane prima, il 9 maggio, era riuscito a sposare la sua compagna, in punto di morte, a Rovigo. Un gesto compiuto con le ultime forze, dopo mesi di lotta per il riconoscimento dei suoi diritti più basilari: salute, famiglia, identità.

In Italia, infatti, senza residenza anagrafica non è possibile iscriversi al Servizio Sanitario Nazionale né scegliere un medico di base, come previsto dal terzo comma dell’articolo 19 della legge 833/1978. Eppure, la normativa prevede strumenti a disposizione dei Comuni, come la cosiddetta “via della casa comunale”: in base all’articolo 2 del D.P.R. 223/1989, le persone senza fissa dimora hanno diritto all’iscrizione anagrafica proprio attraverso questo canale, pensato per tutelare chi si trova in condizioni di fragilità abitativa.

Nonostante ciò, a “Mario” questa possibilità è stata negata per mesi, impedendogli di accedere ai servizi sanitari e al riconoscimento dei suoi diritti fondamentali. Risale infatti al 2 settembre 2024 la risposta ufficiale del Comune di Adria, che dichiarava: “Attualmente non vi sono estremi per concedere al sig. Mario la via della Casa Comunale nel Comune di Adria, in quanto il sig. “Mario” manca di un requisito fondamentale, ovvero l’assenza di una dimora abituale. Il caso è approdato pure  in Consiglio comunale il 12 febbraio scorso, attraverso un’interrogazione presentata dal gruppo di minoranza IBC. Tuttavia, solo a fine aprile la situazione si è finalmente sbloccata.

Durante il funerale, don Fabio Finotello ha richiamato più volte l’attenzione sulla “volontà”, invitando tutti – istituzioni comprese – a non perdere di vista la centralità della persona. “Dove andrai,” Mario”, avrai diritto di residenza in una patria che non fa differenza di persone”, ha detto il sacerdote con voce ferma.

“Mario” ora riposa nel cimitero di Adria. Ma la sua storia resta. E impone una riflessione sull’impasse amministrativo: quanti altri rischiano oggi di essere lasciati indietro per colpa di carte firmate in tempi distesi? Se “Mario” avesse ottenuto la residenza otto mesi prima, forse il suo quadro clinico avrebbe potuto essere affrontato in modo diverso dai medici.

Guendalina Ferro

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