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Sicurezza
06.11.2024 - 16:43
Alessandra Simone, questora di Treviso
La prevenzione, il dialogo e la sensibilizzazione sono punti fermi per la nuova questora, che vuole entrare nelle scuole e aprire le porte alle iniziative che le nuove generazioni propongono. Sulla violenza di genere: “Non voltiamo la testa, è un problema di tutti. Si tratta di salvare vite”
Prevenire, dialogare, sensibilizzare, fare rete. Sono i punti fermi nei quali Alessandra Simone, dal primo ottobre alla guida della Questura di Treviso, crede. È forte di una lunga esperienza – ha diretto la sezione reati contro la persona della squadra mobile e della divisione anticrimine di Milano e negli anni si è impegnata nella lotta contro la violenza di genere e gli abusi sui minori ideando il protocollo “Eva” per intervenire sui maltrattamenti in famiglia e il protocollo “Zeus” per introdurre l’ingiunzione trattamentale nei decreti di ammonimento per stalking e maltrattamenti al fine di ridurre il rischio di recidiva – che trasferirà nel suo nuovo incarico.
Dottoressa Simone, in questo primo mese a Treviso ha già avuto modo di incontrare tutte le istituzioni. Che idea si è fatta della città?
“Dal mio punto di vista è una città dinamica. Sicuramente al passo con i tempi, con un’economia fiorente e un tessuto sociale, ricco di belle professionalità, che interagisce anche con le forze dell’ordine e chiede sicurezza”,
Una città esigente…
“Direi attenta. Forse anche preoccupata. Ecco perché il mio primo obiettivo è arrivare a una comunicazione corretta, perché tante volte le notizie hanno dei toni che non ricalcano l’effettiva valenza dei fatti e l’effettiva realtà. Di conseguenza la città è giustamente preoccupata”.
I dati del Viminale raccontano che i reati sono in calo, ma gli episodi degli ultimi mesi hanno influito sulla percezione della sicurezza. Come intende agire?
“Raccontando esattamente come sono i fatti. Qui si parla di baby-gang, ma non lo sono. Conosco il fenomeno perché l’ho affrontato a Milano. Le baby-gang sono un’altra cosa, sono un fenomeno preoccupante. Qui ci sono aggregazioni spontanee momentanee di ragazzini che si uniscono per avere la meglio sul coetaneo. Certo, sono situazioni che vanno affrontate, evitate, bloccate”.
Come?
“Con la prevenzione. Si tratta prima di tutto di giovani, quindi di persone che dobbiamo assolutamente recuperare e rieducare. Obbligo morale della società è agire sul fronte della rieducazione con tutti gli strumenti a disposizione e con tutti gli attori istituzionali e non, a partire dalla famiglia e dalla scuola, che sono baluardi fondamentali. Fare il bene dei giovani significa fare tutti insieme un’azione sinergica e famiglia e scuola sono i primi a dover agire bene”.
Quali azioni ha in programma?
“Entrare nelle scuole e avere colloqui diretti. Parlare con i giovani e far capire loro che siamo dalla loro parte. Perché al punto in cui siamo, in questo momento di grande incertezza nel quale una pandemia globale ci ha resi più insicuri, siamo responsabili della società che consegneremo ai giovani. Noi adulti dobbiamo innanzitutto preoccuparci di essere all’altezza della situazione e non che non lo siano i giovani. Troppo facile dire che delinquono e sono aggressivi, se non riusciamo a trovare un sistema per convincerli che con quel comportamento non si arriva da nessuna parte. Quando dobbiamo arrestare un minorenne non siamo contenti, è una sconfitta per tutti”.
Ha incontrato il sindaco, ne avete parlato?
“È molto proattivo. Con i giovani è diretto, ha quell’approccio che forse tutte noi istituzioni dobbiamo avere. Non dobbiamo far sentire la distanza, ma far capire ai ragazzi che anche le porte della Questura sono aperte per tutte le iniziative che hanno voglia di sperimentare e proporre. Noi ci siamo”.
Il sindaco ha chiesto anche più presidi delle forze dell’ordine. Secondo lei servono?
“Non serve l’esercito a presidiare una città che è tutto sommato tranquilla. Servono presidi finalizzati al contrasto del malessere dei giovani e quindi le nostre pattuglie hanno un approccio costruttivo e di dialogo”.
Siamo alla vigilia del 25 novembre. Cosa può e deve fare la comunità per combattere la violenza di genere?
“Capire che la violenza di genere è un problema di tutti noi, che non possiamo voltare la testa dall’altra parte di fronte a situazioni che riteniamo affari di famiglia. Ricordiamoci che la violenza di genere è spalmata sul territorio e ci è molto vicina. Grazie a uno strumento di prevenzione come l’ammonimento del questore, chiunque può venire nei nostri uffici e segnalare situazioni di violenza di genere con la garanzia dell’anonimato. Senza la collaborazione della comunità non arriviamo da nessuna parte. Anzi ci arriviamo, ma quando il fenomeno si è incancrenito in un’escalation di violenza che purtroppo dai maltrattamenti conduce al femminicidio. Non sono problemi degli altri, non invadiamo la sfera privata del nostro vicino o facciamo gossip. Si tratta di salvare vite”.
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