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A Vicenza l'Epifania celebrata dalla Festa dei Popoli

Oltre un migliaio alla Messa in cattedrale, alla presenza del Vescovo e dei sacerdoti delle nove comunità straniere della Diocesi

Cattedrale di Vicenza

Il rito dei doni nel corso della Messa dei Popoli da parte delle bambine dello Sri Lanka

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Anche quest’anno la ricorrenza dell’Epifania è stata celebrata dalla diocesi di Vicenza con la consueta “Festa dei Popoli”. Chiunque fosse entrato in Duomo si sarebbe trovato di fronte ad una sorta di mondo ideale: quasi un migliaio di persone, di diverse nazionalità, riunite nello stesso luogo per pregare e cantare insieme. Quasi un miracolo se si pensa alle tante guerre che stanno insanguinando diversi Paesi, in Europa, così come in Medio Oriente e in Africa. Senza contare che anche le rotte che da quelle terre conducono alle nostre sono purtroppo segnate da violenze e morti. Al contrario, la “Festa dei popoli”, riesce ad unire etnie diverse, pur se accomunate dalla stessa fede in Dio. Da molti anni ormai, i rappresentanti delle nove comunità cattoliche del territorio berico, distribuite in 16 Centri pastorali per migranti, si riuniscono in cattedrale.  A Vicenza sono sette le comunità presenti: filippini, ghanesi, nigeriani, romeni, srilankesi, latinoamericani e ucraini; tre a Bassano del Grappa: filippini, ghanesi, latinoamericani e ucraini; due a Schio: ghanesi, nigeriani e romeni; due a Valdagno: ucraini e ghanesi; uno ad Arzignano: ghanesi e, infine, uno a Creazzo per africani francofoni. Il tema voluto quest’anno da Papa Francesco è stato “Migranti: Maestri di Speranza. Dio cammina con il suo popolo”. Non a caso proprio a questa frase del pontefice si è richiamato più volte nella sua omelia il vescovo Giuliano Brugnotto. Una messa, quella che si è svolta in cattedrale, ben diversa da quelle che tradizionalmente vengono officiate, e che dà modo a ciascuna delle comunità, pur nel rispetto della liturgia, di esprimere tramite i propri canti, riti e costumi, in quest’ultimo caso anche nel senso letterale del termine, la propria fede e il proprio amore verso Dio. Così al ritmo dei djembé (i tamburi africani), dei tamburelli, delle chitarre, delle pianole e di altri strumenti popolari, ognuno ha pregato e cantato nel proprio idioma, coinvolgendo tutti gli altri. Il vescovo ha esortato a guardare in modo diverso ai migranti: «Non più persone di cui avere compassione o peggio, paura – ha detto -, ma con le quali costruire realtà nuove, relazionali e di vita, tenendo conto sì dei loro vissuti, spesso drammatici, ma anche di competenze e prospettive inedite che aprono ad altre novità». Nel suo breve intervento, padre Sergio Durigon, delegato vescovile dell’ufficio diocesano Migrantes ha messo l’accento sulla forza e sulla determinazione di queste persone: «I migranti – ha detto - vengono considerati normalmente senza speranza, in realtà proprio perché sono pieni di speranza affrontano ogni difficoltà e rischio. Ci insegnano che è necessario affrontare gli ostacoli con la fiducia nel cuore». Particolarmente scenografica, nel finale, la processione dei doni aperta dalle danze di alcune bambine dello Sri Lanka con i costumi tipici.

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