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L'intervista
27.02.2025 - 18:04
Cresciuto nel piccolo altopiano di Tonezza del Cimone, Diego Dellai ha respirato la montagna fin da bambino. Un amore sconfinato, iniziato con le prime escursioni in famiglia e diventato sempre più forte grazie alla passione per l’arrampicata, che l’ha portato in cima alle pareti più alte. Ed è proprio in vetta che ha capito di non poter vivere senza quel mondo, fatto di silenzi e fatica, boschi selvaggi e distese di roccia. Da diversi anni è Guida alpina e tecnico di Elisoccorso.
Diego, com’è iniziato il suo approccio alla montagna?
“Sono nato a Tonezza e fin da piccolo trascorrevo le vacanze estive in montagna con la mia famiglia. Ma la vera scintilla è scattata all’età di 12 anni, quando ho scoperto il mondo dell’arrampicata grazie a mio fratello e al Gruppo Roccia 4 Gatti di Arsiero. All’inizio arrampicavo in una palestra indoor, poi sono passato alle vie alpinistiche a più tiri. Era una situazione particolare perché l’esposizione mi spaventava, ma al tempo stesso provavo un’attrazione magnetica”.
Una paura che ha superato alla grande direi..
“Il timore iniziale è svanito dopo anni di esperienza, in cui ho acquisito sicurezza nelle mie capacità e una maggiore consapevolezza dell’ambiente".
Quando hai capito che la montagna sarebbe stata la tua strada?
“Il punto di svolta è stato quando sono salito per la prima volta sul monte Agner. Ho raggiunto la cima insieme ai miei compagni di cordata dopo tre giorni intensi, in cui non abbiamo fatto altro che arrampicare. Una volta raggiunto il traguardo ognuno di noi si è ritirato in un angolo ad apprezzare il momento. Siamo rimasti ad ascoltare il silenzio di quei luoghi immensi, in cui ci si sente così piccoli. Lì ho capito che ero predisposto per le lunghe vie alpine e i luoghi selvaggi e meno conosciuti”.
L’anno scorso hai anche aperto una nuova via sulla parete est del Civetta.
“Ho fantasticato diversi mesi su quella parete prima di tentare la salita insieme al mio fedele compagno di cordata Nicola Bertoldo. Abbiamo iniziato ad arrampicare al buio e quando siamo arrivati in cima si è aperto uno spettacolo mozzafiato davanti ai nostri occhi: un’immensa distesa di nuvole filtrate dalle prime luci dell’alba. La via è stata battezzata “viaggio in Patagonia” proprio in onore di questo momento”.
In base alla tua esperienza di tecnico di Elisoccorso, quali sono le maggiori cause di incidenti in montagna? “Premetto che gli incidenti capitano anche ai più esperti perché in montagna entrano in gioco fattori imprevedibili e difficilmente calcolabili. In generale, uno dei fattori di rischio è la sottovalutazione delle condizioni ambientali e metereologiche, soprattutto per chi frequenta poco”.
In questo senso è fondamentale la figura della Guida Alpina, un ruolo che ricopri dal 2020. Quali sono i valori più importanti che cerchi di trasmettere?
“Sicuramente il rispetto per l’ambiente e il dovere di preservarlo per il futuro. Come guida alpina, la mia soddisfazione più grande è riuscire a realizzare i sogni degli escursionisti che accompagno. Ricordo ancora l’emozione di una ragazza di trovarsi a Capanna Margherita insieme alla madre. Sono momenti forti”.
Cosa rappresenta per te la montagna?
“In molti casi rappresenta un rifugio, un luogo in cui i problemi della vita si ridimensionano. Al tempo stesso è un banco di prova per sfidare i propri limiti e affrontare le proprie paure. Un altro aspetto per me essenziale sono i legami di forte condivisione che si creano con i compagni di cordata, in cui spesso non c’è bisogno di parlare perché per capirsi basta uno sguardo. La montagna mi ha fatto crescere e diventare quello che sono...mi ha insegnato a vivere”.
Giulia Turato
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