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Caso Miteni
20.03.2025 - 14:52
Foto di repertorio
Oggi, in occasione della conclusione del processo di primo grado presso la Corte d'Assise di Vicenza, Legambiente è tornata a farsi sentire come parte civile, chiedendo con forza ecogiustizia e un futuro libero dalla contaminazione. L’inquinamento da PFAS, causato dallo stabilimento Miteni di Trissino (VI), ha avuto un impatto devastante su una vasta area di oltre 100 chilometri quadrati, interessando 300.000 abitanti e contaminando la seconda falda acquifera d'Europa.
Da oltre dieci anni, Legambiente denuncia il grave danno ambientale e sanitario con manifestazioni, vertenze legali e azioni pubbliche, affermando il diritto alla salute e a un ambiente salubre. L’associazione ha infatti lanciato numerose iniziative, sostenendo la battaglia per la tutela del territorio e per chiedere che chi ha inquinato risponda delle sue azioni.
“È giunto il momento che chi ha inquinato per anni paghi per i danni causati alla salute pubblica e all’ambiente”, ha dichiarato Legambiente, evidenziando il ruolo cruciale svolto sin dal 2013, quando la contaminazione da PFAS è stata portata alla luce grazie alle indagini del CNR. Con il supporto del circolo Perlablu di Cologna Veneta e di numerose altre realtà locali e regionali, Legambiente ha sempre spinto le istituzioni ad intervenire, ottenendo visibilità per un problema che ha scosso l'intera comunità.
Durante l’udienza odierna, l’avvocato Enrico Varali, del Centro di Azione Giuridica di Legambiente, ha ribadito le richieste dell’associazione: confermare le responsabilità penali a carico dei dirigenti Miteni e quelle civili della multinazionale Mitsubishi e del fondo di investimento ICI, che hanno controllato l’azienda nel corso degli anni. Secondo Legambiente, il processo ha messo in luce come la dirigenza Miteni fosse consapevole della contaminazione, ma abbia omesso di segnalarla alle autorità competenti.
“Chiediamo che venga applicato il principio del ‘chi inquina paga’”, ha aggiunto l'associazione, sottolineando l'importanza della legge 68/2015, che ha introdotto i crimini ambientali nel Codice Penale.
I dirigenti di Legambiente, tra cui il presidente nazionale Stefano Ciafani, il presidente regionale Luigi Lazzaro e il presidente locale Piergiorgio Boscagin, hanno dichiarato: “Ci auguriamo che la giustizia venga fatta e che vengano definiti in maniera chiara i responsabili penali di questo inquinamento che ha causato danni enormi alla popolazione di Vicenza, Verona e Padova, condannando le persone a bere acqua contaminata per anni".
Oltre alla richiesta di giustizia penale, Legambiente ha posto l'accento sulla necessità di interventi concreti per la bonifica del territorio. La battaglia non si ferma con il processo, ma continuerà fino a quando non saranno rimossi i danni ambientali, a partire dalla bonifica del sito industriale e della falda acquifera ancora contaminata.
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