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Parità di genere

Liste elettorali: una Padovana dichiara guerra al decreto che impone il cognome del marito per le donne

Una legge del '67 impone che tutte le donne sposate (e vedove) abbiano il cognome del marito a fianco al proprio sulla tessera elettorale. Martina Acazi lotta da cinque anni in tribunale per la rimozione di questo simbolo patriarcale

Martina Acazi e la legge del 1967

Martina Acazi e la legge del 1967

Ancora oggi, nel 2025, le donne italiane sono obbligate ad avere il cognome del marito accanto al proprio nelle liste elettorali, una norma risalente a un decreto regio che, sorprendentemente, è ancora in vigore. Questo tema è al centro di una battaglia giudiziaria che vede protagonista Martina Acazi, una cittadina di Ponte San Nicolò, in provincia di Padova, che ha deciso di intraprendere un’azione legale contro lo Stato per cambiare una prassi che considera discriminatoria. Un’azione che è supportata dall’associazione "Il Cantiere delle Donne", che da anni si batte per i diritti delle donne e per una reale parità di genere.

La vicenda ha avuto inizio nel 2020, quando Martina Acazi ha scoperto che, dopo il matrimonio, nelle liste elettorali del suo comune di residenza era stato aggiunto il cognome del marito al suo nome. Un episodio che l'ha spinta a intraprendere un lungo e costoso procedimento legale contro il Ministero dell'Interno. Un decreto del Presidente della Repubblica del 1967, che conferma la legge del 1947, a sua volta ereditata dallo statuto pre-repubblicano, prevede infatti che, nelle liste elettorali, il cognome del marito debba essere aggiunto a quello della donna coniugata e vedova.

Martina, regista e lavoratrice autonoma, ha cominciato il suo ricorso nel 2021, sostenendo che questa norma non solo fosse obsoleta, ma anche un ostacolo alla libertà e all'autodeterminazione delle donne. Nonostante il suo impegno, il Tribunale di Padova e la Corte d’Appello di Venezia hanno rigettato la sua richiesta, citando la previsione normativa in vigore. Nel settembre 2024, il Ministero dell'Interno ha però diramato una circolare che stabilisce che il cognome del marito debba comparire solo se richiesto esplicitamente dalla donna, ma la questione delle liste elettorali resta invariata.

Nonostante gli ostacoli legali, Acazi ha deciso di portare la sua battaglia all'attenzione pubblica, sostenuta da "Il Cantiere delle Donne", un'associazione che da anni lotta per i diritti delle donne e per una politica inclusiva. La battaglia di Martina è stata recentemente portata alla ribalta in una conferenza stampa organizzata dall’associazione, alla quale hanno partecipato politici di tutti gli schieramenti, dal Partito Democratico a Fratelli d’Italia, dalla Lega all'Unione di Centro, oltre a esperti e accademici.

Nel corso dell’incontro, diversi esponenti politici e giuridici hanno ribadito l'importanza di un aggiornamento legislativo per eliminare una norma ormai obsoleta. "Non si tratta solo di una questione legale, ma di una battaglia culturale", ha sottolineato Vanessa Camani, consigliera regionale del PD. "La legge deve riflettere i diritti di tutte le donne e non può più essere ancorata a stereotipi di un passato che non esiste più".

Anche Etta Andreella, consigliera comunale del PD di Padova, ha esortato il Parlamento ad affrontare questa problematica: "È una questione di uguaglianza, e non possiamo più tollerare che la legge continui a discriminare in modo così palese".

L’avvocato Aurora Luciani, che rappresenta Martina Acazi, ha spiegato che la legge vigente sulle tessere elettorali, che consente alle donne di scegliere se far comparire il cognome del marito, dovrebbe essere applicata anche per le liste elettorali. "La normativa che obbliga a inserire il cognome del marito nelle liste è superata e non ha più senso", ha affermato.

Sergio Gerotto, professore di diritto pubblico all'Università di Padova, ha sottolineato che la questione riguarda la tutela dell’identità personale e il diritto di voto, che è un diritto inalienabile. "La legge deve essere aggiornata per garantire parità di diritti", ha dichiarato Gerotto, "e l'attuale normativa non tutela adeguatamente i diritti di uguaglianza e autodeterminazione delle donne".

La conferenza stampa si è conclusa con un impegno bipartisan da parte dei politici presenti a sollecitare un cambiamento normativo, prima che la questione venga portata dinanzi alla Corte Costituzionale. La battaglia di Martina Acazi, purtroppo ancora in attesa di una decisione definitiva, si configura come un passo importante nella lotta per una società più giusta e per una piena parità di genere.

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