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Sanità
10.04.2025 - 12:32
professore Salvatore Silvio Piano, docente di Medicina all'Università di Padova
L’Università di Padova ha coordinato il più ampio studio internazionale mai realizzato sulla cirrosi epatica e le complicanze renali, un ambito critico della medicina che riguarda milioni di persone nel mondo. Pubblicato sulla rivista The Lancet Gastroenterology & Hepatology, lo studio ha coinvolto oltre 3.800 pazienti ospedalizzati per cirrosi scompensata, distribuiti in 65 ospedali di 27 Paesi, su cinque continenti. La ricerca è destinata a rivoluzionare le pratiche cliniche per la gestione dell'insufficienza renale acuta (Aki), una delle complicazioni più gravi della cirrosi.
Guidato dal professore Salvatore Silvio Piano, docente di Medicina all'Università di Padova e medico specialista dell'ospedale universitario di Padova, lo studio ha indagato l'epidemiologia e i trattamenti dell'Aki, rivelando differenze significative tra le varie regioni del mondo. Questo tipo di insufficienza renale, frequentemente scatenato da infezioni, sanguinamenti o uso improprio di diuretici, è particolarmente comune nei pazienti con cirrosi avanzata, un fatto che ha implicazioni cruciali per il trattamento tempestivo e la prognosi.
Lo studio ha messo in luce che l'Aki colpisce il 38% dei pazienti con cirrosi scompensata e che la causa più comune è l’ipovolemia (59% dei casi), contrariamente a quanto si pensasse, ossia che la sindrome epato-renale fosse il principale fattore scatenante (17%). Questi dati sono fondamentali per rivedere le linee guida terapeutiche e migliorare la gestione di questi pazienti, la cui sopravvivenza può dipendere fortemente da un trattamento tempestivo e adeguato.
Un altro aspetto importante emerso dallo studio è la variabilità nelle terapie adottate nei diversi Paesi. Ad esempio, l'uso di albumina e terlipressina ha mostrato ampie differenze geografiche, il che potrebbe influire sugli esiti clinici dei pazienti. L'accesso alle cure e la qualità della sanità sono risultati fattori cruciali per migliorare le probabilità di sopravvivenza. I dati suggeriscono che i centri ospedalieri con una maggiore copertura sanitaria universale abbiano tassi di mortalità più bassi tra i pazienti con Aki.
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