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Ciliegie da gioielleria: prezzi record fino a 23 euro al chilo

In Puglia calo del raccolto e crisi climatica spingono il “frutto rosso” a cifre da capogiro

Ciliegie da gioielleria: prezzi record fino a 23 euro al chilo

Foto di repertorio

C’erano una volta le ciliegie che finivano per strada perché pagate troppo poco. Oggi, sulle bancarelle dei mercati e negli scaffali dei supermercati del Nord Italia, sono diventate un prodotto quasi di lusso. A Milano, la varietà Bigarreau ha toccato i 23,30 euro al chilo.

Le ciliegie Ferrovia, tra le più pregiate in Italia, devono il loro nome a una leggenda nata nel 1935: un seme germogliato vicino a un casello ferroviario nella cittadina di Turi, oggi simbolo della ciliegicoltura italiana. La Puglia, infatti, produce circa il 30% del raccolto nazionale.

Dal boom dei prezzi alla crisi nei campi

Dietro i prezzi stellari si nasconde una crisi profonda. Il raccolto 2025, secondo Coldiretti, ha subito un crollo tra il 70% e l’80% a causa di un clima imprevedibile: inverni miti, gelate primaverili e grandinate improvvise. A questo si aggiunge la carenza di manodopera agricola: a Turi, il Comune ha dovuto riadattare uno stabile per ospitare 90 braccianti stagionali, molti dei quali migranti.

Ma l’attuale valore di mercato non garantisce profitti agli agricoltori. Un lavoratore stagionale costa circa 70 euro al giorno, a cui si sommano le spese per trasporto, logistica e margini della grande distribuzione. Il risultato? Ciliegie pagate 5-6 euro al produttore, rivendute poi tra 9 e 13 euro al chilo, con punte record: 20 euro a Roma, oltre 13 a Bologna e i già citati 23 a Milano.

Dall’abbandono alla rinascita (a caro prezzo)

Basta tornare indietro al 2021 per ricordare quando, a Casamassima, molti produttori esasperati buttavano via intere casse di ciliegie. Allora, il prezzo era sceso sotto 1 euro al chilo, troppo poco per coprire i costi. In tanti riconvertirono i campi, preferendo colture più stabili come viti e ulivi.

Oggi le ciliegie tornano protagoniste grazie anche a un cambiamento nei consumi: i “frutti pronti da mangiare” sono sempre più richiesti. Nessuna buccia da togliere, nessun spreco. Ma il paradosso resta: i prezzi salgono, i consumatori protestano, e gli agricoltori guadagnano a malapena il giusto.

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