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Curiosità
08.06.2025 - 16:00
Foto di repertorio
Mangiare in modo apparentemente sano non basta più. A rivelarlo è un'importante ricerca dell’Istituto Neuromed di Pozzilli, in collaborazione con l’Università Lum di Casamassima, pubblicata su The American Journal of Clinical Nutrition. Il dato più inquietante? Anche chi segue una dieta ricca di frutta, verdura e fibre, ma consuma con frequenza cibi ultra-processati, va incontro a un invecchiamento biologico più rapido.
Lo studio – condotto su un campione di 25mila adulti molisani nell’ambito del progetto Moli-sani – è valso alla giovane ricercatrice Simona Esposito il prestigioso Premio Gianni Barba, assegnato alla miglior ricerca scientifica nel campo della nutrizione da parte della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU).
Gli alimenti ultra-processati (UPF) sono ormai una presenza costante sulle tavole moderne: snack confezionati, bibite gassate, pane in cassetta, cereali da colazione aromatizzati, piatti pronti e zuppe precotte. Apparentemente innocui, questi prodotti industriali alterano la struttura originale del cibo, riducono l’apporto di nutrienti essenziali e possono causare infiammazione cronica, oltre a compromettere l’equilibrio del microbiota intestinale.
Il rischio non si ferma al contenuto. La ricerca solleva interrogativi anche sull’impatto del packaging: molti alimenti ultra-processati sono confezionati in plastica o materiali multistrato che possono rilasciare sostanze chimiche pericolose, come ftalati e bisfenoli, noti per i loro effetti negativi sul sistema endocrino.
Il messaggio degli scienziati è chiaro: l’alimentazione è molto più che una somma di nutrienti. È uno strumento potente per influenzare la longevità, la salute dell’organismo e la qualità dell’invecchiamento. Ridurre il consumo di alimenti industriali è un primo passo fondamentale.
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