I boschi del Veneto non si arrendono. Dopo anni di silenziosa aggressione, il bostrico tipografo – un minuscolo coleottero tanto invisibile quanto distruttivo – ha trovato un argine. Nella suggestiva cornice della Val Visdende, è partita una sperimentazione che punta a invertire la rotta dell’emergenza fitosanitaria che sta segnando profondamente le foreste alpine del Nord Italia.
L’insetto ha approfittato della devastazione lasciata dalla tempesta Vaia nel 2018, proliferando tra i tronchi abbattuti e raggiungendo oggi, secondo i dati più recenti, oltre 37.400 ettari di foreste colpiti tra Veneto, Trentino, Friuli Venezia Giulia e Lombardia. Solo in Veneto, il bostrico ha aggredito più di 8.100 ettari di superficie forestale.
Il nuovo fronte sperimentale – sviluppato dal Settore Fitosanitario della Regione Veneto in collaborazione con il Dipartimento DAFNAE dell’Università di Padova, Agrin e altri enti del territorio – mira a proteggere i boschi con un approccio innovativo: l’uso di sostanze naturali repellenti per allontanare il parassita dagli abeti sani, indirizzandolo verso tronchi-esca trattati con specifici composti che ne bloccano la diffusione.
Il cuore dell’esperimento è la protezione degli alberi monumentali, come gli imponenti abeti rossi e bianchi della Val Visdende, alcuni dei quali superano i 48 metri d’altezza. Si tratta di veri e propri giganti silenziosi, testimoni di un patrimonio naturale unico in Italia, oggi minacciato dall’avanzata del bostrico.
L’attacco del parassita non solo provoca la morte delle piante, ma ha anche conseguenze pesantissime sul piano economico. Le cataste di legname, ancora oggi ammassate nei boschi dopo Vaia, rischiano il deprezzamento sul mercato proprio a causa della contaminazione, creando una crisi anche per gli operatori della filiera forestale.
Dal 2019 sono stati messi in campo numerosi strumenti per contenere il fenomeno: monitoraggi continui, rimozione del legname infestato, e l’introduzione di tronchi-esca, che hanno dato risultati incoraggianti in alcune zone come l’Altopiano di Asiago. Tuttavia, la portata dell’infestazione e le mutate condizioni climatiche – con estati sempre più calde e secche – hanno spinto le autorità a rafforzare la risposta.
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Oggi la sfida è duplice: difendere la biodiversità e il valore paesaggistico delle Alpi venete e al contempo sostenere un settore produttivo già provato dagli eventi degli ultimi anni.