Cerca

Test Miles 33

Scopri tutti gli eventi

EVENTI

Il Referendum

Referendum sul lavoro: tre quesiti che toccano 1,5 milioni di lavoratori veneti

Dal Jobs Act ai contratti a termine: la Cgil rilancia la battaglia per i diritti

Referendum sul lavoro: tre quesiti che toccano 1,5 milioni di lavoratori veneti

Foto di repertorio

Non sarà facile orientarsi tra i quesiti referendari che gli italiani troveranno nelle urne l’8 e 9 giugno, ma dietro il tecnicismo delle formule si nasconde una posta in gioco molto concreta: il futuro dei diritti nel mondo del lavoro. Tre dei cinque quesiti referendari, quelli promossi dalla Cgil, puntano dritto al cuore delle riforme introdotte dal Jobs Act nel 2015. E in Veneto, i potenziali interessati sono quasi un milione e mezzo di lavoratori dipendenti del settore privato.

Numeri alla mano, sono 1.494.000 i veneti coinvolti, di cui un milione impiegato in aziende con più di 15 dipendenti e circa 463 mila in micro e piccole imprese. Anche se le situazioni concrete in cui si applicano le norme oggetto di abrogazione sono numericamente più ridotte, il segnale politico è forte: riportare il tema della precarietà lavorativa al centro del dibattito nazionale.

I quesiti in sintesi

La scheda verde riguarda l’abolizione del sistema di indennizzo fisso previsto dal Jobs Act per i licenziamenti ritenuti illegittimi, che esclude ogni possibilità di reintegro. In caso di vittoria del , si tornerebbe alla Legge Fornero, che concede al giudice maggior margine di valutazione e può, in alcuni casi, disporre il reintegro del lavoratore.

La scheda arancione invece mira ad abrogare una norma applicata alle aziende sotto i 15 dipendenti – e dunque molto diffusa nel tessuto produttivo veneto – che limita l’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato a sei mensilità, anche se il licenziamento viene giudicato infondato. Anche qui, con il sì si tornerebbe alla discrezionalità del giudice, senza tetti fissi.

Il terzo quesito, scheda grigia, prende di mira la normativa sui contratti a termine: l’attuale legge consente alle imprese di stipulare contratti a tempo determinato senza indicare causali per i primi 12 mesi. Il referendum punta ad abolire questa possibilità, restituendo trasparenza e motivazioni obbligatorie fin dal primo giorno.

Una battaglia simbolica per la Cgil

Per la Cgil, promotrice della campagna referendaria, i tre sì rappresentano un ritorno ai valori fondanti del lavoro stabile, tutelato e dignitoso. Il sindacato denuncia come la flessibilità introdotta con il Jobs Act abbia incentivato la precarietà e indebolito le garanzie.

Ma i dati non offrono una lettura univoca. Secondo le elaborazioni di Veneto Lavoro su dati Inps, tra il 2019 e il 2024sono cresciuti i contratti a tempo indeterminato (+168.000), mentre sono diminuiti quelli a termine (-14.000) e l’apprendistato (-1.459). Anche sul lungo periodo, dal 2014 al 2023, il lavoro stabile è aumentato del 17,1%: i dipendenti privati con contratto a tempo indeterminato sono passati da 1.124.946 a 1.317.082.

Sui licenziamenti, l’impatto della riforma appare marginale. Nel 2022, ad esempio, le cessazioni di rapporti di lavoro in Veneto sono state 853.060. Di queste, oltre 532.000 erano naturali conclusioni di contratti, 232.000 dimissioni volontarie, mentre i licenziamenti veri e propri si fermano a meno di 70.000, circa l’8% del totale.

Una sfida anche politica

Difficile non leggere il referendum anche in chiave politica. Il Jobs Act fu il cavallo di battaglia del governo Renzi e del Partito Democratico di allora. Oggi, paradossalmente, è proprio una parte del Pd a sostenere i quesiti della Cgil, in un clima di confronto interno e riposizionamento sulla linea dei diritti sociali.

Anche il mondo imprenditoriale segue la partita con attenzione: l’abrogazione di norme che hanno semplificato le modalità di gestione del personale potrebbe avere ricadute sulle strategie occupazionali, soprattutto per le piccole e medie imprese.

Il voto dell’8 e 9 giugno non sarà quindi solo una consultazione tecnica. Sarà un banco di prova per il mondo del lavoro italiano, e in una regione produttiva come il Veneto, potrebbe segnare un nuovo spartiacque nel rapporto tra flessibilità, diritti e dignità.

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edizione