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Zona sismica
14.06.2025 - 11:00
Foto di repertorio
Il rischio sismico sul territorio vittoriese non è mai stato un mistero, ma ora uno studio di microzonazione sismica di terzo livello ha confermato in modo definitivo la presenza di faglie “attive e capaci” di generare terremoti. Se, come è noto, non è possibile prevedere né quando né con quale intensità si verificherà una scossa, è invece fondamentale prevenire gli effetti distruttivi, adottando norme antisismiche rigorose e aggiornando l’edificato esistente.
Il percorso di indagine è iniziato nel 2023 con analisi geofisiche mirate, seguite nell’estate 2024 dagli scavi di trincee paleosismologiche. Questi scavi hanno permesso di analizzare la storia dei movimenti lungo le faglie presenti, con particolare attenzione alle due strutture principali che attraversano il territorio tra Bassano, Valdobbiadene, Serravalle e la Val Lapisina. Il vicesindaco Marco Dus spiega che i risultati indicano chiaramente che le faglie Longhere–Fadalto-Cadola nord e sud sono attive e capaci, cioè potenzialmente in grado di generare movimenti sismici fino alla superficie.
La conferma di queste condizioni ha implicazioni immediate sulla pianificazione urbanistica: le zone di rispetto intorno alle faglie attive sono infatti considerate inedificabili per tutelare la sicurezza di cittadini e infrastrutture. Al contrario, sono state eliminate le zone di attenzione relative a faglie secondarie nella Val Lapisina, ritenute a basso rischio di riattivazione.
Con la nuova classificazione, Vittorio Veneto è passato dalla zona di rischio 2 a quella più alta, la zona 1, segnando un cambio importante nelle strategie di prevenzione. La storia ricorda come già nel 1937 fosse stato imposto un vincolo sismico, poi rimosso durante il boom edilizio degli anni ’60, periodo nel quale le costruzioni spesso non rispettavano criteri antisismici. Solo dopo il terremoto del Friuli del 1976 è tornata l’attenzione sulla sicurezza, con una riclassificazione che dal 1985 ha imposto norme più rigorose. Nonostante ciò, si stima che in caso di forte terremoto solo un quarto degli edifici costruiti negli anni ’60 potrebbe resistere, a causa di tecniche costruttive ormai superate, come l’uso di blocchi di cemento vuoti.
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