Nell’anno del Giubileo della speranza, un gruppo di detenuti della Casa circondariale di Santa Bona ha scritto una lettera aperta al vescovo di Treviso, Michele Tomasi, dando vita a uno scambio intenso e carico di significato.
Il messaggio dei reclusi, definito «una piccola e sconosciuta porzione di Chiesa», è nato in occasione della Pentecoste, frutto di un percorso spirituale proposto dal cappellano don Piero Zardo insieme ai volontari di Comunione e Liberazione e dell’associazione Prima Pietra. Il cammino di riflessione ha invitato i detenuti a interrogarsi sul senso del Giubileo vissuto dietro le sbarre e su come, nonostante la durezza della condizione carceraria, sia possibile intraprendere un cammino di conversione autentica.
Nella lettera, i detenuti non chiedono clemenza né sconti di pena. Domandano invece ascolto e comprensione, offrendo la testimonianza di una fede che cresce nel silenzio e nella fatica, e che chiede di essere riconosciuta come un segno di possibile rinascita. «Non pretende risposte facili – ha spiegato il cappellano don Zardo – ma chiede condivisione. È un invito a guardare oltre il pregiudizio, a riconoscere che la fede può germogliare anche nei luoghi più imprevisti».
La risposta del vescovo Tomasi, arrivata nei giorni scorsi, si è fatta voce di tutta la Diocesi. Il presule ha ringraziato i detenuti per la loro testimonianza, definendola un’occasione per riscoprire «il volto di Cristo, la bellezza della sua proposta e la verità sull’esistenza che nasce dall’ascolto libero del Vangelo». Ha poi ricordato le parole di papa Francesco ai detenuti di Rebibbia, richiamando l’immagine di una speranza concreta e quotidiana, capace di dare nuova direzione alla vita.
«Cerchiamo insieme le ragioni di una speranza quotidiana e troviamo insieme la direzione in cui possano muoversi i nostri passi – ha scritto il vescovo – per ritessere sempre di nuovo legami di comunità».