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Compie 90 anni Osvaldo Bagnoli, il CT che fece sognare Verona e l’Italia intera

Schivo, geniale, capace di trasformare una squadra di scarti in campioni d’Italia: la città scaligera deve a lui il leggendario scudetto del 1985

Bagnoli portato in trionfo dai tifosi del Verona dopo aver conquistato lo scudetto del 1985

Bagnoli portato in trionfo dai tifosi del Verona dopo aver conquistato lo scudetto del 1985

Novant’anni portati con la riservatezza di sempre, lontano dai riflettori che non ha mai amato: Osvaldo Bagnoli festeggia oggi un compleanno importante, suggello di una carriera che lo ha reso un mito del calcio italiano. Nato a Milano nel 1935, nel quartiere Bovisa, è stato definito con ironico rispetto da Gianni Brera “lo Schopenhauer della Bovisa” per il suo carattere riflessivo, a tratti ombroso, ma lucidissimo.

Eppure, nonostante un profilo così schivo da rischiare di oscurare i propri meriti, Bagnoli è scolpito per sempre nella leggenda sportiva grazie a quell’impresa irripetibile del 1985: la conquista dello scudetto con il Verona. Era il 12 maggio, a Bergamo, quando il fischio finale consacrò gli scaligeri campioni d’Italia, lasciando di sasso un Paese intero. Celebre il siparietto con Gianpiero Galeazzi che gli urlò: “Sei campione d’Italia e non dirmi che non te lo meriti!”. Bagnoli, imbarazzato, si limitò a un sorriso schivo e a un ringraziamento, simbolo di uno stile d’altri tempi.

Arrivato a Verona nel 1981, aveva condotto l’Hellas alla promozione in Serie A e, al primo anno in massima serie, a un sorprendente quarto posto. Dopo stagioni altalenanti, nel 1984 il presidente Celestino Guidotti gli diede fiducia piena nonostante un ottavo posto deludente. Con un budget ridotto, Bagnoli assemblò una squadra di giocatori considerati “scarti” dalle grandi: il portiere Garella, il libero Tricella scaricato dall’Inter, il regista Di Gennaro lasciato andare dalla Fiorentina, l’ala Pierino Fanna non più voluta dalla Juve.

Con gli stranieri limitati a due posti, scelse il tedesco Hans Peter Briegel e il danese Preben Elkjaer Larsen, autentica rivelazione. Con la sua “allegra brigata”, Bagnoli sconfisse squadre di fuoriclasse come la Juve di Platini, l’Inter di Rumenigge, il Napoli di Maradona, la Fiorentina di Socrates, l’Udinese di Zico e il Torino di Junior. Nessuno riuscì a fermarli.

Non era il primo scudetto di Bagnoli: ne aveva già vinto uno da calciatore con il Milan nel 1957. Ma quello di Verona fu l’apoteosi di un allenatore che non si piegò mai ai compromessi. Lasciò l’Hellas solo dopo un cambio di proprietà, allenando poi il Genoa, che portò a un quarto posto – il migliore del dopoguerra – e a una semifinale di Coppa Uefa persa con l’Ajax. Infine l’Inter, dove dopo un buon secondo posto al debutto pagò la rottura con alcuni giocatori e fu esonerato.

Uomo rigoroso, spiegò così il ritiro a soli 59 anni: “Se un insegnante non sopporta più i suoi allievi, allora è meglio che smetta”. Oggi, a 90 anni, riceve ancora le visite di qualcuno dei suoi “ragazzi” e ammette di non ricordare tutto perfettamente. Ma non ha mai dimenticato il miracolo di Verona: “Quello è sempre vivo nel cuore”.

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