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Esportazioni venete

Dazi USA, il Veneto rischia fino a 1,5 miliardi di perdite, ma la situazione è ancora gestibile

La tenuta del Made in Italy e la solidità delle imprese venete potrebbero limitare gli effetti negativi delle politiche protezionistiche statunitensi

immagine di repertorio

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Il rischio c’è, ma il Veneto ha gli strumenti per reagire. Secondo l’Ufficio studi della CGIA, se le attuali tariffe doganali imposte dagli Stati Uniti dovessero rimanere invariate, il danno per l’economia veneta si attesterebbe intorno ai 500 milioni di euro in mancate esportazioni. Tuttavia, se l’amministrazione Trump dovesse decidere di innalzare i dazi al 20%, l’impatto economico per la nostra regione potrebbe raggiungere i 1,5 miliardi di euro. Si tratta di stime elaborate a partire da dati OCSE, che non tengono conto di eventuali aggravi su singoli prodotti merceologici.

Nel 2024, il valore complessivo dell’export veneto verso gli Stati Uniti ha superato i 7 miliardi di euro. I settori trainanti sono l’occhialeria, i prodotti farmaceutici, le bevande – in particolare il vino – e la gioielleria. A fronte di un contesto ancora incerto, due sono gli interrogativi principali: i consumatori e le imprese statunitensi continueranno a scegliere il Made in Italy, oppure si rivolgeranno a mercati alternativi? E, nel frattempo, le aziende italiane saranno in grado di mantenere competitivi i propri prezzi negli USA, assorbendo l’aumento dei costi attraverso la riduzione dei margini?

Secondo la Banca d’Italia, il 92% delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti è costituito da prodotti di qualità medio-alta o alta, destinati a una clientela a reddito elevato. Ciò potrebbe ridurre la sensibilità dei consumatori americani a eventuali rincari. Inoltre, le imprese esportatrici italiane generano in media solo il 5,5% del proprio fatturato sul mercato statunitense, pur con un margine operativo lordo del 10%. Questo consente, in molti casi, una certa flessibilità per attutire eventuali contraccolpi.

Resta comunque il rischio che le politiche protezionistiche possano innescare conseguenze più ampie, come una svalutazione del dollaro o una contrazione della domanda globale. In tal senso, il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ha ricordato: “Il rischio più profondo è un altro: che il commercio, da motore di integrazione e dialogo, si trasformi in una fonte di divisione, alimentando l’instabilità politica e mettendo a repentaglio la pace”.

Diversificazione e resilienza: Veneto tra le regioni meno vulnerabili

L’analisi della CGIA ha esaminato anche il grado di diversificazione delle esportazioni regionali, rilevando che le regioni del Nord – Veneto incluso – sono meno esposte agli effetti di eventuali barriere commerciali. Il Veneto, con un indice di diversificazione del 46,8%, è tra le realtà più resilienti, secondo solo alla Lombardia (43%). Un dato positivo, che riflette la varietà della produzione regionale e la minore dipendenza da pochi settori merceologici.

Situazione ben diversa per molte regioni del Sud, dove l’export è spesso concentrato su poche voci. Sardegna, Molise e Sicilia risultano le più vulnerabili, con oltre l’85% delle esportazioni legate a un numero ristretto di comparti, come la raffinazione petrolifera o l’industria chimica.

Vicenza in prima linea nell’export veneto verso gli USA

A livello provinciale, Vicenza si conferma la realtà veneta con la maggiore vocazione all’export statunitense. Con 2,2 miliardi di euro di beni esportati nel 2024 – tra macchinari, componentistica auto e oreficeria – la provincia berica si colloca al sesto posto in Italia, dietro a grandi centri come Milano, Firenze e Modena. Seguono Treviso con 1,3 miliardi e Padova con 1,2.

In attesa di capire quali saranno le decisioni definitive degli Stati Uniti in materia di dazi, il tessuto produttivo veneto si dimostra solido e articolato, pronto ad affrontare anche scenari economici complessi grazie alla qualità delle sue imprese e alla riconoscibilità del Made in Italy nel mondo.

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