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L'intervista

Massimiliano Alajmo: “Cucinando, trasmettiamo una parte di noi”

Il più giovane chef tristellato della storia racconta il suo approccio innovativo

Massimiliano Alajmo: “Cucinando, trasmettiamo una parte di noi”

Massimiliano Alajmo

Erano i primi anni 80 al ristorante Le Calandre, che allora si chiamava Aurora. Massimiliano aveva appena cinque anni e si aggirava tra le cucine, all'altezza dei pantaloni degli chef, sognando un giorno di indossarne la divisa. La madre, Rita Chimetto, avrebbe di lì a poco fatto la storia della ristorazione italiana, conquistando la prima stella nel 1992. Ed è proprio al suo fianco che Alajmo inizia la sua avventura alla scoperta di un mondo che non lascerà più. Un mondo fatto di pane, dolci appena sfornati e mani che impastano: "Ricordo la mia prima scottatura, con un ventaglio di pasta sfoglia dorato".

Crescendo, Massimiliano consolida la sua passione all’Istituto Alberghiero “Pietro d’Abano” di Abano Terme, dove si diploma nel 1990. Sono queste le radici di una vocazione profonda, che lo porterà a diventare il più giovane chef tristellato della storia. Determinante nel suo percorso è l'imprinting materno, da cui apprende il valore dell'essenzialità: "Mia madre mi ha insegnato che quello che non metti in un piatto è importante tanto quanto quello che aggiungi. È capace di creare i piatti straordinari con pochi ingredienti".

Oltre alla famiglia, tre figure lasciano il segno nel suo cammino: “Da Alfredo Chiochetti, pilastro della cucina italiana, ho imparato l’umiltà. Michel Guérard mi ha trasmesso l’eleganza della cucina francese. Marc Veryat mi ha insegnato l’arte della sperimentazione”.

Elegante e raffinato, Alajmo ha trovato nella sua cucina un significato profondo, volto a esaltare i tesori nascosti all'interno dei suoi piatti: "Il nostro principio guida è ascoltare la materia abbandonandosi ad essa per raccontarne la bellezza". Un approccio che non impone, ma si fonda sul disvelarsi delle cose nella loro essenzialità: "A parlare sono la materia e la sua personalità: noi siamo solo il mezzo attraverso cui si manifesta". Alla base ci sono tre pilastri: leggerezza, fluidità e profondità. Tre concetti che invitano a vivere la cucina anche nella sua dimensione esistenziale: "La verità è nascosta ma la cucina, che la porta alla luce, è semplice. Nel mistero di ciò che è ben celato, che reclama semplicità e leggerezza, nasce lo stupore dell’assaggio".

Per Alajmo, tutto si condensa nella parola In.gredienti, dal latino ingredi, “entrare”. Un invito ad ascoltare la materia, riflesso dei principi che muovono l’esistenza. Le risposte sono dentro di essa, nella sua metamorfosi continua. E se la cucina è metafora di vita, il pane diventa un simbolo potente, “sintesi di un duro lavoro, di un’attesa e anche di un’elaborazione mentale. Nella panificazione, la materia si trasforma anche grazie al contatto con l’acqua”. Ma il pane è anche un gesto che unisce: “Si può condividere senza utensili. È qui che risiede la sua magia: non ci sono barriere tra l’uomo e la materia”.

E intingendolo nell’olio si riscopre il piacere dell’istinto: “La parte grassa dell’olio trasporta le fragranze aromatiche. In quel gesto abbandoniamo le convenzioni e ci abbandoniamo al piacere”. Dall’incontro tra chi cucina e chi assaggia nasce uno spazio di condivisione profonda: “Cucinando, trasmettiamo una parte di noi. E allo stesso tempo apprendiamo, in osmosi continua con ingredienti, ospiti e sensazioni”.

La cucina diventa così esercizio alla semplicità, “un viaggio alla ricerca dell’origine, dove l’autenticità rifiuta il superfluo”.

Giulia Turato

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