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Marostica, il caso cineforum: «Scelta che sa di censura». Si alza la voce a difesa della cultura

Dopo la cancellazione della rassegna estiva in biblioteca, solidarietà al Comitato promotore

Nuova biblioteca, si attende l’apertura

Foto di repertorio

Fa discutere e solleva reazioni accese la decisione dell’Amministrazione comunale di Marostica di annullare, senza motivazioni trasparenti, la rassegna cinematografica estiva curata dal Comitato della Biblioteca civica. Un gesto che, secondo molti cittadini e operatori culturali, ha il sapore amaro della censura.

La programmazione era frutto di un lungo lavoro di progettazione condivisa, sostenuto dallo stesso Comune anche sul piano economico. Eppure, all’ultimo momento, l’iniziativa è stata cancellata. Nessuna spiegazione pubblica ufficiale, se non una generica richiesta da parte dell’Amministrazione di puntare su “proposte più leggere”.

Una motivazione che ha sollevato un’ondata di indignazione, soprattutto perché i film selezionati erano opere di rilievo internazionale, scelte con cura per stimolare riflessione e confronto. Nessun contenuto offensivo, solo cinema che fa pensare – e che, evidentemente, qualcuno avrebbe preferito evitare.

«In un momento storico in cui ci sarebbe bisogno di più cultura, più pensiero critico e più spazi di dialogo – si legge in uno dei tanti interventi a sostegno del Comitato – si sceglie invece di tacere, di chiudere, di nascondere». Una presa di posizione preoccupante, che rischia di trasformare la biblioteca da luogo di democrazia e crescita collettiva a spazio svuotato di significato.

Alcuni membri del Comitato promotore hanno scelto di rassegnare le dimissioni, denunciando pubblicamente quanto accaduto. Altri, invece, si dicono pronti a rilanciare il cineforum “dal basso”, trasformando questa cancellazione in un gesto di resistenza culturale.

L’invito, rivolto a cittadini, scuole, associazioni e realtà culturali del territorio, è chiaro: «Facciamo sentire la nostra voce. Difendiamo insieme la cultura, che non è un orpello elitario, ma un diritto, un bene comune, un presidio di libertà».

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