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15.09.2025 - 08:25
Foto di repertorio
Le imprese individuali padovane dovranno lavorare fino al 6 luglio solo per adempiere agli obblighi fiscali. In altre parole, per oltre sei mesi l'intero reddito prodotto servirà esclusivamente a pagare tasse statali e locali. Solo dal 7 luglio inizieranno, simbolicamente, a guadagnare per sé stesse.
A fotografare questa realtà è la settima edizione dell’Osservatorio CNA sul fisco intitolato “Comune che vai, fisco che trovi”, che ogni anno misura la pressione fiscale effettiva sulle micro e piccole imprese nei capoluoghi italiani. Il report colloca Padova al 38° posto (su 114 città monitorate) per minore carico fiscale, con un Total Tax Rate del 51,3%, in leggera diminuzione rispetto al 51,8% del 2023.
“Un segnale positivo, ma ancora insufficiente – commenta Luca Montagnin, presidente di CNA Padova e Rovigo –. La pressione fiscale continua a rappresentare un freno allo sviluppo. Serve un sistema più equo, semplice e sostenibile.”
L’indagine CNA prende come riferimento un'impresa tipo: artigiana, individuale, con un laboratorio di 350 mq, un negozio di 175 mq e un reddito annuo di 50mila euro su ricavi pari a 431mila. Il risultato? A Padova, oltre metà dell’utile viene assorbito da tasse, contributi e imposte locali.
A pesare non sono solo le aliquote nazionali, ma anche le addizionali regionali e comunali, l’IMU, e il carico legato a rifiuti e servizi. Le differenze tra territori sono significative: la più virtuosa è Bolzano, con una pressione fiscale del 46,3%, mentre in fondo alla classifica troviamo Agrigento, dove il fisco si prende il 57,4% dei profitti aziendali.
In Veneto, Padova è quinta per “leggerezza” fiscale tra i capoluoghi. A guidare la classifica regionale c’è Belluno (sesta in Italia, con un tax rate del 49,4%), seguita da Vicenza (decima a livello nazionale, 49,8%), Rovigo (50,9%), e Treviso (51,2%). Più pesanti i carichi su Venezia (51,4%) e Verona (51,8%).
Nonostante il calo padovano dello 0,5%, il divario tra territori è ancora ampio e in parte legato alla stagione del federalismo fiscale tra il 2009 e il 2014, che ha attribuito maggiore autonomia ai comuni, generando disomogeneità nell’imposizione locale.
Il dato nazionale mostra un total tax rate medio del 52,3%, anch’esso in lieve calo rispetto al 52,8% del 2023. Tuttavia, come sottolinea Montagnin, questi miglioramenti non derivano da riforme strutturali, ma da aggiustamenti locali o dinamiche economiche contingenti.
“Serve una semplificazione burocratica – aggiunge il presidente di CNA – e meccanismi fiscali che favoriscano i giovani e chi rileva un’attività artigiana. Solo così possiamo garantire futuro e continuità al nostro tessuto imprenditoriale.”
L’Italia resta un paese dove fare impresa è un esercizio di resistenza. Se da un lato si intravedono segnali di miglioramento, dall’altro resta forte l’urgenza di riforme profonde, capaci di alleggerire il carico fiscale e liberare risorse per la crescita.
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