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Attualità
22.09.2025 - 10:30
Foto di repertorio
Il 22 settembre 2025, a Treviso, è stato segnalato un calo preoccupante delle iscrizioni ai corsi di laurea in Infermieristica. A fronte di 200 posti disponibili presso la sede locale dell’Università di Padova, si erano iscritti solamente 148 studenti. Anche a livello generale, i dati regionali mostravano una diminuzione marcata delle iscrizioni: l’Università di Padova, con le sue varie sedi, contava 744 iscritti su 1.150 posti, registrando una riduzione del 35% rispetto all’anno precedente. L’Università di Verona evidenziava un dato ancora più critico, con soli 503 iscritti su 974 posti, pari a una flessione del 48,36%, anche se mancavano ancora i dati della sede di Bolzano.
Il sindacato Nursing Up Veneto aveva espresso forte preoccupazione per la situazione, affermando che in tutta la regione operavano poco più di 37.000 infermieri e che il ricambio generazionale risultava sempre più difficile da garantire. Secondo il sindacato, il problema era di carattere strutturale e coinvolgeva l'intero Paese. Su scala nazionale, infatti, a fronte di 20.699 posti disponibili per il corso di laurea in Infermieristica nell’anno accademico 2025/2026, si erano registrate solo 19.298 domande. Inoltre, si temeva che il numero effettivo di iscritti sarebbe stato ancora inferiore, considerando il tempo residuo per perfezionare le immatricolazioni.
Un altro fattore aggravante era rappresentato dall’elevato tasso di abbandono degli studi: in media, tre studenti su dieci non completavano il triennio. In Veneto si stimava una carenza attuale di oltre 5.000 infermieri, che avrebbe potuto quasi raddoppiare nei successivi quattro anni, arrivando a quota 9.000 se la tendenza non fosse stata invertita.
Il referente regionale del sindacato, Guerrino Silvestrini, aveva sottolineato la gravità del problema salariale, ritenuto un elemento cruciale nella perdita di attrattività della professione. Egli aveva messo in evidenza la questione del blocco delle progressioni di carriera e aveva chiesto il ripristino di misure incentivanti per gli studenti, come le borse di studio per i tirocini. Aveva anche denunciato che le possibilità di avanzamento per gli infermieri in servizio erano ormai ridotte al minimo. Un esempio era rappresentato dai 700 mila euro stanziati per i Dep (Differenziali Economici di Professionalità), cifra ritenuta del tutto insufficiente per un’azienda come l’Ulss 2 di Treviso, che contava circa 8.000 dipendenti. Tali fondi, infatti, avrebbero permesso solo 700 passaggi di fascia, pari a circa 1.200 euro annui per ciascun lavoratore. Nella stessa Ulss, 180 dipendenti non avevano cambiato fascia da oltre dieci anni. Il sindacato aveva quindi chiesto all’azienda di dare priorità proprio a questi lavoratori, come segnale concreto di attenzione verso la professione.
Silvestrini aveva infine ribadito che l’infermiere rappresentava una figura essenziale per l’assistenza e per il funzionamento del sistema sociosanitario. A suo giudizio, la professione meritava maggiore considerazione e valorizzazione, soprattutto in previsione del progressivo invecchiamento della popolazione. Solo in Veneto, entro il 2030, la percentuale di over 65 sarebbe cresciuta fino a raggiungere circa il 30% della popolazione totale, con un aumento di 243.000 anziani rispetto ad oggi. Alla luce di tali prospettive, il sindacato si chiedeva come sarebbe stato possibile garantire i servizi e l’assistenza necessari, considerando che il rapporto infermieri/abitanti in Italia era di soli 6,5 ogni 1.000 abitanti, contro la media europea di 9 su 1.000.
La riflessione finale era che, nonostante gli sforzi compiuti per potenziare l’offerta formativa, aumentare il numero di posti universitari non era sufficiente. Secondo il sindacato, bisognava intervenire con decisione sulle due principali cause della disaffezione verso la professione infermieristica: le condizioni lavorative troppo gravose e le prospettive economiche scoraggianti.
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