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Dopo 81 anni
20.10.2025 - 15:23
Il silenzio del cimitero di Campocroce di Mirano ha accolto, nelle scorse settimane, il ritorno di un giovane che la guerra aveva strappato alla sua terra e alla sua famiglia: Vittorio Rigo, internato militare italiano, morto a soli vent’anni in un lager tedesco per stenti e malattia. Le esequie con gli onori militari hanno chiuso una ferita rimasta aperta per generazioni, riportando a casa i resti di un ragazzo che scelse la coerenza alla sopravvivenza. A riannodare i fili della sua storia è stato Carlo Cacco, presidente dell’Associazione Combattenti e Reduci di Mirano.
Vittorio era nato a Santa Maria di Sala il 2 aprile 1924. Cresciuto in una grande famiglia, nel 1938 si trasferì a Campocroce. Contadino, fu chiamato alle armi il 25 maggio 1943 e arruolato nei Bersaglieri. L’armistizio dell’8 settembre lo sorprese al Nord. Il giorno dopo venne catturato a Verona dall’esercito tedesco e deportato a Lamsdorf, allora Germania, oggi Polonia. Come migliaia di internati militari italiani rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, lo Stato fantoccio guidato da Mussolini. Scrisse ai genitori parole di coraggio, ma la tubercolosi e la fame lo piegarono: morì il 31 luglio 1944.
Nel 2024, dal sito dell’ex campo, sono emersi i resti di sessanta caduti italiani, tra cui anche i suoi. La sepoltura è stata accompagnata da una messa solenne, alla presenza dei familiari e dei sindaci di Mirano e Santa Maria di Sala. “Non è stata solo una sepoltura, ma un gesto di memoria, un richiamo profondo al valore della pace e della dignità umana”, ha dichiarato il sindaco salese Alessandro Arpi. “Questa commemorazione ricorda quanto sia costato ai nostri nonni e bisnonni, alle nostre nonne e bisnonne, il cammino verso la libertà. Bentornato in patria, Vittorio”.
Un momento condiviso da tutta la comunità, maggioranza e opposizione insieme. Il consigliere comunale salese di Forza Italia, Gianpietro Spolladore, ha scritto: “Ottantun anni dopo, Vittorio è finalmente tornato a casa, accolto dall’affetto dei familiari, della comunità di Campocroce e di chi ha voluto rendere omaggio al suo sacrificio. Scelse di non collaborare con il regime nazifascista, pagando con la vita quella scelta di libertà e coerenza”. E ancora: “Anagraficamente Vittorio avrebbe potuto essere mio nonno, ma avendo vissuto solo vent’anni avrebbe potuto essere mio figlio”. A quella generazione, e a Vittorio, il paese ha espresso quindi un silenzioso e riconoscente grazie.
Riccardo Musacco
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