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Il caso
21.10.2025 - 14:04
Foto di repertorio
Il bodybuilding non è più solo una questione di muscoli e definizione estetica, ma un terreno che può nascondere rischi gravi anche per la salute femminile. È quanto emerge da un’inedita ricerca dell’Università di Padova, che per la prima volta ha indagato la mortalità tra le atlete agoniste del settore, portando alla luce un quadro preoccupante.
Lo studio, pubblicato sull’European Heart Journal, ha analizzato oltre 9.000 atlete che hanno gareggiato in eventi ufficiali Ifbb (International Federation of Bodybuilding and Fitness) tra il 2005 e il 2020. Il risultato? 32 decessi confermati, oltre un terzo dei quali legati a morte cardiaca improvvisa.
“Il bodybuilding femminile non è esente dai pericoli già osservati tra gli uomini,” spiega il prof. Marco Vecchiato, medico dello sport e primo autore dello studio. “Le professioniste, in particolare, mostrano un’incidenza di morte cardiaca improvvisa sorprendentemente alta per soggetti giovani e apparentemente sani. Si tratta di un dato che impone riflessione".
Secondo Vecchiato, l’abuso di sostanze dopanti, le tecniche estreme di preparazione fisica e la pressione della competizione estetica possono avere effetti devastanti, anche sul cuore femminile, solitamente considerato meno a rischio. “La differenza con il bodybuilding maschile esiste, ma non giustifica l’assenza di attenzione scientifica e medica verso le atlete,” sottolinea.
Accanto ai decessi per cause cardiovascolari, la ricerca segnala anche una quota significativa di morti traumatiche, tra cui suicidi e omicidi. “La dimensione psicosociale del bodybuilding femminile è spesso trascurata,” evidenzia Vecchiato. “In uno sport dove il corpo è esibito e giudicato, le pressioni sociali, la ricerca della perfezione e l’isolamento possono avere conseguenze profonde sulla salute mentale".
La metodologia dello studio si è basata su una ricerca sistematica multilingue, con verifica dei decessi attraverso fonti ufficiali, media e social network. I dati raccolti non vogliono demonizzare il bodybuilding, ma accendere un faro su una realtà troppo spesso minimizzata o nascosta.
“Il bodybuilding, se praticato con consapevolezza, può essere uno sport sano e formativo,” ammette Vecchiato. “Ma quando si spinge verso l’estremo – tra allenamenti esasperati, aspettative estetiche irrealistiche e uso di sostanze dopanti – può trasformarsi in una disciplina ad alto rischio".
L’appello del team padovano è chiaro: servono programmi di prevenzione mirati anche per le donne, screening cardiologici regolari, sostegno psicologico e, soprattutto, un cambiamento culturale. “La salute deve tornare al centro, prima della prestazione e dell’apparenza,” conclude il professore. “Soprattutto per quelle atlete che, silenziosamente, affrontano rischi simili a quelli degli uomini, ma con meno attenzione mediatica e scientifica".
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