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28.12.2025 - 13:00
Foto di repertorio
Il Veneto è la prima grande regione del Nord Italia per diffusione degli acquisti online. Nel 2024, infatti, oltre 2,24 milioni di residenti – il 46,2% della popolazione – hanno comprato beni o servizi attraverso l’e‑commerce, generando un giro d’affari stimato tra i 7,5 e gli 8 miliardi di euro. A certificarlo è l’Ufficio studi della CGIA, che fotografa una trasformazione profonda delle abitudini di consumo, ma anche una tenuta sorprendente del commercio tradizionale.
Nonostante la crescita dell’online, che negli ultimi anni ha registrato tassi di aumento più che doppi rispetto ai negozi di vicinato, il commercio fisico continua infatti a svolgere un ruolo centrale: circa il 90% delle vendite al dettaglio avviene ancora nei punti vendita tradizionali. Un dato che ridimensiona l’idea di un inevitabile declino delle botteghe e dei piccoli esercizi, pur in un contesto di forte competizione.
Il Veneto si colloca ai vertici nazionali, anche se il primato assoluto spetta alla Provincia autonoma di Trento, dove il 49,2% dei residenti ha effettuato almeno un acquisto online nell’ultimo anno. Seguono Valle d’Aosta (47,2%), Toscana (47%), Friuli Venezia Giulia (46,4%), mentre in coda alla classifica si trova la Calabria con il 27,6%.
A trainare l’e‑commerce sono soprattutto abbigliamento, calzature e accessori: nel 2024 il 23,2% delle vendite di questo comparto è avvenuto online. Seguono articoli per la casa e il giardinaggio (13,7%), film e serie in streaming (13,4%), servizi di trasporto come biglietti e abbonamenti (11,4%) e prodotti cosmetici (9,5%). Una tendenza nazionale che trova riscontro anche in Veneto.
I punti di forza del commercio elettronico sono noti: rapidità, possibilità di confrontare i prezzi, accesso a un’offerta vastissima, acquisti 24 ore su 24 e consegne sempre più rapide. A tutto questo si aggiungono politiche di prezzo aggressive, rese possibili da piattaforme globali e da regimi fiscali spesso più favorevoli rispetto a quelli che gravano sulle attività locali.
Eppure, sottolinea la CGIA, i piccoli negozi non sono un residuo del passato. Al contrario, svolgono funzioni economiche e sociali difficilmente sostituibili: creano occupazione sul territorio, alimentano circuiti di spesa locali, offrono relazioni, consulenza e servizi personalizzati, contribuiscono alla vivibilità e alla sicurezza dei centri urbani.
Per questo, più che una difesa nostalgica del commercio tradizionale, servono politiche capaci di governare la transizione. Tra le proposte: una fiscalità più equa per le vendite digitali, legata al luogo effettivo del consumo; misure urbanistiche e fiscali che riducano il peso di affitti e tributi locali; strumenti strutturali di trasformazione digitale per le piccole imprese, non limitati a bandi occasionali.
La conclusione della CGIA è chiara: l’e‑commerce è un fenomeno strutturale e irreversibile, ma non necessariamente incompatibile con la sopravvivenza dei negozi di vicinato. La sfida non è fermare l’innovazione, bensì creare regole che permettano a tutti gli attori di competere ad armi pari, trasformando il digitale da minaccia a opportunità per l’intero sistema economico.
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