A Santa Corona per il Festival biblico Denis Mukwege raccontò gli orrori di quella guerra dimenticata nel Paese africano
A Vicenza il 26 maggio 2019 per il Festival biblico il dottor Denis Mukwege premio Nobel per la pace raccontò la terribile guerra dimenticata che si combatte nel Congo ed è costata la vita all'ambasciatore italiano Luca Attanasio, al carabiniere Vittorio Iacovacci e a loro autista, Mustapha Milambo. Scrissi allora questo pezzo che desidero riproporre come tributo al loro sacrificio. Anche a Vicenza, oggi, le bandiere sono rimaste a mezz'asta. "Un grave lutto ha colpito l'Italia - ha dichiarato ieri il sindaco Francesco Rucco - L'amministrazione comunale, insieme a tutta la cittadinanza, esprime vicinanza ai familiari delle vittime colpite durante lo svolgimento del proprio lavoro. L'imboscata non ha lasciato scampo ai due italiani e al loro autista in un Paese teatro spesso di scontri violenti. La bandiera italiana a mezz'asta e listata a lutto negli edifici comunali e sul pennone in piazza dei Signori rappresenta il cordoglio dell'intera comunità".
"All'Onu hanno dimenticato in qualche cassetto il rapporto che denunciava gli orrori nel Congo"
INDIGNATEVI PER IL CONGO. “Indignatevi!”. Perché da oltre vent’anni si combatte nel Congo una guerra dimenticata da tutti. Perché è costata sei milioni di morti ma si combatte soprattutto sul corpo delle donne: centinaia di migliaia sono state violentate, mutilate ai genitali, addirittura sepolte vive per ordine di generali che sono ancora al loro posto. “Indignatevi!”. Perché l’Onu ha individuato 617 tipi di crimini commessi in questo spaventoso conflitto, ma a New York hanno dimenticato in qualche cassetto il rapporto che li denunciava. E stanno zitti. “Indignatevi!”. Perché tanta ferocia è scatenata dall’avidità di controllare la produzione congolese di cobalto, coltan, e tantalio. Come le terre rare, sono elementi decisivi per realizzare l’hardware dei computer e la tecnologia che ci portiamo in tasca assieme allo smartphone. Non è un generico coinvolgimento nel senso di colpa, ma serve a capire quali sono le vere dimensioni e perché si combatte. “Indignatevi!”. Perché questi metalli sono scavati a forza di braccia da bambini e donne resi schiavi e sepolti nelle miniere del Congo. “Indignatevi”. Perché papa Bergoglio ha promesso, nell’incontro che ha avuto con lui, di far pregare nelle chiese cattoliche per il Congo. Ma non gli basta. Bisogna fare di più. Il dottor Denis Mukwege, 64 anni, congolese, parla con tono pacato in francese a santa Corona a Vicenza. Ma le sue parole sono taglienti per ogni coscienza. Concita De Gregorio, giornalista di Repubblica e scrittrice, che conduce l’incontro organizzato dal Festival Biblico, sottolinea i passaggi più drammatici del suo racconto. Spiega che il dottor miracolo, come lo chiamano, ha sfiorato la morte dieci volte, tra agguati e attentati: ma evidentemente non doveva morire perché aveva un destino da compiere. L’hanno battezzato anche “il riparatore di donne”, perché ha combattuto da ostetrico e ginecologo quella “guerra nella guerra” che nel Congo utilizza l’arma dello stupro contro le donne. Per umiliarle, annientarle, per demolire la comunità che si fonda su di loro. Sono le donne, infatti, che allevano i bambini, che curano gli anziani, che cercano il cibo per l famiglia. Una volta colpite, l’organizzazione sociale si sgretola. Perfino i loro figli sono i “i bambini dei serpenti”, colpiti da uno stigma che li cancella dalla consapevolezza del mondo. E destinati a una vita da sbandati sulla strada, alla denutrizione, alla morte.
“HO RISCHIATO DI MORIRE DIECI VOLTE”. Lo ascoltano in cinquecento, seduti sulle panche del tempio: altri centocinquanta sono rimasti fuori dalla chiesa e si accontentano di un altoparlante. Il dottor Mugweke ricapitola la sua vita. Spiega che già alla nascita, nel 1955, l’ha scampata per un pelo ed è sopravvissuto a un’infezione. Racconta, soprattutto, l’agguato di cui è rimasto vittima dopo aver denunciato la situazione all’Onu: cinque uomini sono entrati in casa sua e gli hanno sparato da distanza ravvicinata. Lui è svenuto ed è caduto a terra prima che i colpi arrivassero a bersaglio. Morì la persona che era vicina a lui. Un giallo, molto più probabilmente un avvertimento. Era appena tornato dall’assemblea generale di New York, dove aveva denunciato la guerra nel suo Paese, le torture e le vittime. Ad ascoltarlo c’era il mondo, tranne i rappresentanti del Congo. Un caso? No. Ma quella denuncia arrivò lo stesso a chi, nel suo Paese, volle rispondere a colpi di pistola. “Ho pensato: Stavolta è davvero finita. Ancora oggi non capisco come abbiano potuto sbagliare a distanza così breve”. Facciamo finta che sia un giallo, commenta Concita. “Ho sempre avuto l’impressione di essere protetto – aggiunge – Sono, come tutti, nelle mani del creatore”. IL “RIPARATORE DI DONNE”. Denis Mukwege è pastore protestante, come il padre. L’impegno a curare le donne del Congo vittime di stupri di guerra gli è valso il Premio Sacharov nel 2014 e l’anni scorso il Nobel per la pace. È stato testimone di fatti che non hanno niente di umano: “Ho curato tremila donne e bambini – racconta – La più piccola vittima di violenza aveva sei mesi”. La sua vita l’ha raccontata Colette Braeckman nel libro “Denis Mukwege. L'uomo che ripara le donne” (Fandango libri). Da sempre era consapevole della sua vocazione: “Volevo diventare medico da quando avevo otto anni – racconta – Ma il mio Paese me lo impedì. Mi indirizzarono a ingegneria. Quando la prima volta misi piede in un cantiere capii che non era fatto per me”. Andò a studiare in Burundi, poi tornò in Congo. “Ero specializzato in pediatria, ma il mio primo giorno di lavoro all’ospedale morirono due donne di parto. Le condizioni delle gravidanze erano e sono terribilmente a rischio: i parti si svolgono in casa. Solo in caso di complicazioni, le donne sono trasportate in rudimentali barelle all’ospedale, naturalmente in condizioni disperate e in un lago di sangue. Così mi decisi a dedicarmi dicato alla ginecologia per occuparmi delle mamme e dei bambini”. Costruì 14 piccole maternità e scuole per ostetriche. Il tasso di mortalità scende: “In 14 anni, dal 1982 al 1996, ho sentito la gioia del lavoro che svolgevo”. Ma presto il dottor Mukwege capisce che salvare le donne non significa occuparsi solo della gravidanza e del parto ma è una questione politica. “Il 6 ottobre 1996 la guerra irrompe nella mia vita. Era domenica. I soldati fannoo irruzione nell’ospedale e massacrano tutti nelle corsie, sia pazienti operati pochi giorni prima sia i miei collaboratori”. Come riesca a salvarsi è un miracolo. Fu uno shock terribile. Impiegò due anni a riprendersi. A Bukavo ricostruì il reparto maternità in due tende, ma tutto fu distrutto dalla seconda guerra del Congo.
La violenza sulle donne e gli stupri di guerra nel dialogo con la giornalista Concita De Gregorio
STUPRO DI GUERRA. Il dottor Mugweke si accorse di un’altra realtà, di una “guerra nella guerra” che si diffondeva nel suo Paese: era troppe le donne violentate che arrivano in ospedale. Capì che lo sturpo era uno strumento di guerra, non il sordido sfogo di un militare: “Vidi casi tremendi. Giunse all’ospedale una donna stuprata poco distante. L’avevano violentata e poi le avevano sparato all’apparato genitale. L’abbiamo operata e salvata. Nel 1999 ho avuto a che fare con 45 donne che avevano subito lo stesso trattamento. Mi trovavo di fronte a un fenomeno nuovo, agghiacciante. Una “guerra nella guerra” come la battezzò Rights Watch. Il motivo è intuibile. Le donne sono il perno della vita: aggredirle a pochi metri da casa vuol dire paralizzare la vita di tutti, diffondere il terrore, impedire loro di andare in strada, costringere alla fame i bambini. È un modo per strozzare la vita del Paese”. “Dopo lo stupro – aggiunge Concita De Gregorio – i genitali vengono mutilati con baionette e bastoni roventi coperti di plastica per impedire altri parti”. Private della capacità riproduttiva, le donne sono rifiutate dalle famiglie. È terribile, ma è la cultura del luogo.
La sua denuncia all'Onu gli costò un attentato dal quale scampò per miracolo
LA DENUNCIA ALL’ONU E L’ATTENTATO A COLPI DI PISTOLA. All’ospedale di Panzi, fondato da Mugweke, arrivò in visita il vicesegretario dell’Onu. Ascoltò i suoi terribili racconti: gli parlò anche di una donna legata mani e piedi all’albero e violentata per giorni. Nei punti in ci era legata, i nervi erano distrutti. Non può tacere ancora – lo incita il funzionario, deve parlare all’Onu, denunciare questi crimini. Concita De Gregorio usa l’immagine della tortura come di “un bombardamento sulla città delle donne”. Il discorso all’Onu ebbe come risultato l’attentato in Congo. Era chiaro che lo volevano uccidere. Mugweke fuggì negli Usa per salvare la sua famiglia, moglie e due figlie. Anche Barack Obama lo ricevette alla Casa Bianca. Intanto le donne del Congo scrivono due lettere per chiedere alle autorità di farlo tornare: una al presidente del Congo, un’altra al Segretario generale delle Nazioni Unite. Nessuno risponde. Decidono un’iniziativa di solidarietà: un giorno alla settimana il ricavato della vendita dei loro prodotti al mercato è destinato a finanziare l’acquisto del biglietto per il dottor Mugweke. Vogliono che il “dottor miracolo” torni nel Congo. Gli mandano a dire che sono disposte a vegliare a turno, in 25 per notte, girando attorno alla sua casa per sorvegliarla. IL PREMIO NOBEL. L’ha condiviso con tutte le donne del Congo: “Sono loro che mi ispirano. Hanno un coraggio e una determinazione che travalica ogni mio sforzo per curarle. Ci sono dei loro comportamenti che mi colpiscono profondamente. Dopo averle operate, quando si riprendono dall’anestesia il loro primo pensiero non è per se stesse ma per gli altri: dove sono i bambini? Come stanno? Gli uomini non sono così: prima di tutto chiedono come stanno loro”. “Nel Congo esiste un problema di mancanza di giustizia e di impunità verso i crimini perpetrati nel nostro Paese. Vent’anni sono troppi. Chiedo una giustizia non repressiva, ma riparatrice che preservi il ruolo di ciascuno nel contratto sociale. Per raggiungere questo obiettivo ognuno può dare il suo contributo. Indignatevi per il Congo!”.
Antonio Di Lorenzo
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