La Guardia di Finanza di Padova ha scovato un'azienda 'fantasma' di Monselice, che intascava impropriamente i contributi dello Stato emettendo fatture false
Scovata dalla Guardia di Finanza di Padova, sotto la direzione della locale Procura della Repubblica, la maxi truffa di un'azienda 'fantasma' di macellazione di carne di Monselice. Le indagini, iniziate circa un anno fa, si sono concluse nei giorni scorsi e hanno portato all'identificazione di tre persone, residenti in provincia di Napoli, indagate, in concorso e a vario titolo, in ordine a reati tributari, fallimentari, societari e a un’ipotesi di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, in qualità di amministratori, di fatto e di diritto, dell'azienda operante.Le articolate attività investigative sono iniziate dalla verifica fiscale, conclusa nei confronti dell’impresa, all’esito della quale è stata proposta per il recupero a tassazione un’imposta evasa di oltre 6 milioni di euro. Inoltre, nel corso dell’ispezione, sono stati svolti approfondimenti in merito a tre finanziamenti, pari a 200 mila euro, erogati nell’ambito delle misure di sostegno all’economia, colpita dalla crisi derivante dalla pandemia da Covid. Nello specifico, è stato rilevato che la società, ritenuta priva di una struttura aziendale, quindi inesistente, ha dapprima beneficiato dei contributi del “Decreto Rilancio”, “Decreto Ristori” e “Decreto Natale”, simulando lo svolgimento di un’attività di ristorazione, senza di fatto mai esercitarla. Tali disponibilità sarebbero poi state interamente trasferite, tramite bonifici bancari, su conti correnti in Lituania e Polonia.Nel corso degli ulteriori accertamenti, è stato riscontrato che le quote di tale società sono state cedute nel 2018 dai precedenti soci a un soggetto diverso, divenuto anche rappresentante legale e considerato mero prestanome di due fratelli campani.A partire da quell’anno, i tre indagati avrebbero dapprima apparentemente rafforzato la situazione economico- finanziaria della società con un aumento del capitale sociale da 10 mila a 750 mila euro tramite l'uso di riserve disponibili ritenute fittizie, al solo fine di offrire al mercato e agli istituti di credito un’immagine florida, per poi collocare l’impresa in un meccanismo evasivo destinato a favorire numerose società con sede nella provincia di Napoli. Infatti, secondo l’ipotizzato schema della “frode carosello”, il soggetto economico sarebbe stato interposto, in qualità di “impresa cartiera”, nelle operazioni di compravendita di prodotti provenienti dall’Unione Europea, assoggettate a uno specifico regime I.V.A., favorendo l’evasione della suddetta imposta, sistematicamente non versata all’atto della successiva cessione all’acquirente finale sul territorio nazionale, che comunque maturava il diritto alla detrazione. L’importo delle vendite ricostruite, riconducibili a tale meccanismo, ammontava a oltre 3 milioni di euro.Le irregolarità avrebbero anche favorito il dissesto dell’impresa, poi dichiarata fallita. Nello specifico, è stata ipotizzata la distrazione di beni e valori in danno dei creditori, in quanto non sarebbero state rinvenute 13 auto concesse in leasing o in locazione all’azienda decotta e disponibilità finanziarie per quasi 195 mila euro, in parte trasferite su conti correnti esteri, in parte utilizzate per il pagamento di spese estranee all’attività sociale oppure impiegate per il versamento delle imposte dovute da terzi. Gli amministratori avrebbero omesso, inoltre, la tenuta delle scritture contabili obbligatorie, rendendo più complessa la ricostruzione di tali operazioni. Tutti gli elementi investigativi raccolti, acquisiti attraverso accertamenti bancari e dichiarazioni rese da persone informate sui fatti, ha consentito all’autorità giudiziaria di formulare le imputazioni sopra descritte a carico di due amministratori di fatto e uno di diritto.
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