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Giustizia privata
22.04.2025 - 16:28
Il casolare in cui venivano perpetrate le aggressioni
Si erano fatti chiamare “vendicatori di pedofili”, ma per la giustizia italiana restano accusati di gravi reati: rapina, sequestro di persona e lesioni. Ora, dopo anno dalla condanna a oltre sei anni di carcere inflitta dal tribunale di Treviso, il processo si sposta in Corte d’Appello a Venezia, dove i giudici hanno disposto una perizia psichiatrica per valutare lo stato mentale dei due imputati.
I protagonisti della vicenda sono due ragazzi di 20 e 21 anni, residenti nel Trevigiano. Tra il 2022 e il 2023, ispirandosi a un controverso format americano su YouTube, i due giovani hanno orchestrato una serie di “trappole” ai danni di vari uomini sospettati di tendenze pedofile, spacciandosi per minorenni online al fine di adescarli. In almeno otto episodi, hanno attirato le loro vittime in un casolare abbandonato, dove venivano immobilizzate – a volte con l’uso di un taser – picchiate e derubate.
Secondo quanto emerso dalle indagini, gli episodi sono avvenuti con la complicità di un minorenne, e l'obiettivo non era solo quello di "punire" i presunti pedofili, ma anche di sottrarre loro denaro e oggetti personali. Le vittime venivano spogliate, fotografate e talvolta minacciate di essere denunciate o esposte online.
Il primo episodio noto si è verificato a fine 2022, ma è stato solo nel febbraio 2023 che l'intera vicenda è diventata di dominio pubblico. I carabinieri, insospettiti da strani movimenti in un’area isolata vicino a Vedelago, hanno colto i due giovani in flagranza: stavano tenendo sotto sequestro un uomo di 50 anni, legato e visibilmente scosso, al quale avevano sottratto le chiavi dell’auto e la tessera bancomat.
Proprio quel giorno, con l’intervento dei militari, si è chiuso il cerchio su una serie di aggressioni che fino ad allora erano rimaste confinate nel silenzio delle vittime, molte delle quali – per vergogna o timore – non avevano sporto denuncia. Le testimonianze raccolte dopo l’arresto hanno consentito di ricostruire l’intero schema di azione dei due imputati, descritti dagli inquirenti come “organizzati, determinati, ma anche profondamente confusi sul confine tra giustizia e criminalità”.
Ora, con la perizia psichiatrica disposta in Appello, si cerca di chiarire se i due giovani fossero nel pieno delle proprie facoltà mentali. La difesa punta a dimostrare che i due ragazzi non erano pienamente consapevoli delle conseguenze delle loro azioni, alimentati da un’ideologia distorta e da un bisogno – forse malato – di “farsi giustizia da soli”. Ma la giustizia deve fare il suo corso: “Punire il crimine con altri crimini non è mai una soluzione”, ha dichiarato un magistrato coinvolto nel caso.
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