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Addio a Cesare Nosiglia, l’arcivescovo che ha fatto della Chiesa una casa per i giovani e i lavoratori

Un cammino pastorale tra Roma, Vicenza e Torino

Addio a Cesare Nosiglia, l’arcivescovo che ha fatto della Chiesa una casa per i giovani e i lavoratori

Cesare Nosiglia

Si è spento nella notte del 27 agosto monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo emerito di Torino, una figura centrale per la Chiesa italiana degli ultimi decenni, capace di coniugare fede, cultura e profondo impegno sociale. Aveva 79 anni.

Nato a Rossiglione, in provincia di Genova, nella diocesi di Acqui Terme, si era formato nei seminari locali e aveva completato gli studi in Teologia e Sacra Scrittura alla Pontificia Università Lateranense e all’Istituto Biblico di Roma. Ordinato sacerdote nel 1968, aveva mostrato fin da subito una spiccata vocazione educativa, che lo porterà a guidare – tra il 1971 e il 1991 – l’Ufficio Catechistico Nazionale della CEI, prima come vicedirettore e poi come direttore.

Una vita per l’educazione, i giovani e gli emarginati

Nel 1991 la consacrazione episcopale e l’inizio del suo cammino pastorale tra Roma, Vicenza e infine Torino, dove nel 2020 era stato nominato arcivescovo metropolita. A Roma, da ausiliare e vicegerente, Nosiglia si era occupato in particolare di scuola cattolica, pastorale giovanile ed emarginazione: una vocazione che porterà con sé anche nelle esperienze successive.

Durante il suo episcopato a Vicenza prima, e a Torino poi, si è distinto per la capacità di leggere le ferite del territorio, in particolare quelle legate al mondo del lavoro e al disagio sociale. Emblematica la sua battaglia durante le crisi industriali che hanno colpito la città, come il caso Embraco o il settore dell’automotive, dove Nosiglia non ha esitato a schierarsi pubblicamente al fianco dei lavoratori, invocando soluzioni e giustizia sociale.

Una Chiesa "di strada", per tutti

Amava definire Torino come una città “divisa in due”: quella ricca e dinamica, e quella fragile, fatta di giovani in difficoltà, famiglie precarie, persone senza casa o senza speranza. A questa visione si ispira la sua nota lettera pastorale intitolata “Non stranieri ma concittadini e familiari di Dio”, con cui esortava la comunità ecclesiale ad aprirsi davvero a tutti, “senza confini e senza riserve”.

Durante il suo mandato ha voluto una Chiesa non arroccata nei palazzi, ma immersa nei quartieri, tra la gente, tra i problemi quotidiani. A lui si devono numerosi progetti pastorali di prossimità e di ascolto, soprattutto rivolti a giovani, emarginati e nuovi poveri.

L’impegno per la Sindone e la sofferenza

Altro capitolo importante del suo ministero è stato il rapporto con la Sindone, simbolo spirituale profondamente radicato nella fede torinese. Fu lui a volere, durante la pandemia, un’ostensione straordinaria riservata ai malati, come segno di consolazione e speranza in un momento di grande dolore collettivo. Nel 2015 accolse papa Francesco a Torino per una visita storica, in occasione della grande ostensione pubblica.

L’ultimo saluto

Cesare Nosiglia lascia un segno profondo nella comunità torinese e nazionale. Il suo magistero, spesso definito “di strada”, ha saputo portare il messaggio cristiano oltre le sacrestie, toccando le fragilità sociali del nostro tempo.

“Mi interessano i giovani, mi interessano i lavoratori, mi interessano gli ultimi. È lì che si gioca il Vangelo”, diceva spesso.

E così ha vissuto, fino all’ultimo giorno.

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