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Cronaca
09.10.2025 - 21:18
Foto Ansa
È con parole semplici e cariche di aspettativa—“un grande giorno”— che Donald Trump ha annunciato il 9 ottobre 2025 un accordo sul piano di pace per Gaza. Un annuncio che, se confermato e rispettato, potrebbe inaugurare la prima vera tregua dopo mesi di violenze, aprendo un percorso verso una “pace forte e duratura” tra Israele e Hamas.
Secondo quanto dichiarato, Israele e Hamas hanno “firmato la prima fase” di un piano che prevede:
- cessate il fuoco;
- la liberazione di almeno 20 ostaggi nel weekend;
- l’avvio di un ritiro graduale delle truppe israeliane;
- un percorso politico che, nelle parole di Trump, mira a una pace stabile e duratura.
La scansione a fasi, con un rilascio iniziale di ostaggi e misure di de-escalation sul terreno, indica un approccio incrementale: costruire fiducia misurabile per passaggi successivi più ambiziosi.
La firma ufficiale è attesa al Cairo, alla presenza dei mediatori di Qatar, Egitto e Turchia. È un triangolo diplomatico che ha spesso agito da canale con le parti sul terreno: Doha per i contatti con Hamas, l’Egitto per il ruolo cruciale sul confine di Rafah e Ankara come attore politico regionale. La scelta del Cairo conferma l’Egitto come facilitatore di riferimento nei dossier israelo-palestinesi.
A Gaza intanto si sono registrate feste spontanee, così come tra i familiari degli ostaggi, che hanno ringraziato il presidente americano con un videomessaggio circolato sui social. Dalle Nazioni Unite, Antonio Guterres ha esortato tutte le parti a rispettare i termini e a lavorare perché il cessate il fuoco diventi permanente.
Malgrado l’annuncio, gli scontri a Gaza proseguono, con raid e operazioni dell’esercito israeliano ancora in corso. È il promemoria più concreto della fragilità di ogni cessate il fuoco nelle prime ore: la traduzione degli impegni in ordini sul campo, la verifica reciproca, la gestione degli incidenti e dei “fuochi” residuali sono i test immediati di qualsiasi intesa.
Trump ha anticipato a Fox News che gli ostaggi saranno rilasciati lunedì e ha annunciato che si recherà personalmente in Medio Oriente nei prossimi giorni per seguire gli sviluppi. Questo impegno, per essere credibile, dovrà misurarsi con la puntualità delle scadenze: la liberazione degli ostaggi nel weekend e l’entrata in vigore effettiva del cessate il fuoco.
Meccanismi di verifica: chi monitora il cessate il fuoco e con quali strumenti? Il ruolo dei mediatori potrà essere decisivo. Sequenziamento delle misure: rilascio ostaggi, ritiro graduale, eventuali successivi passaggi politici dovranno avere tappe chiare. Catena di comando sul terreno: la capacità di entrambe le parti di far rispettare ordini e tempi è la chiave per evitare incidenti di percorso. Spazio politico: la convocazione del Parlamento israeliano per la ratifica e l’attenzione delle leadership coinvolte indicano che la dimensione interna resta determinante.
Se rispettata, questa “prima fase” invertirebbe la logica degli ultimi mesi: dalla coercizione alla negoziazione misurabile. La liberazione di almeno 20 ostaggi non è solo un gesto umanitario: è la valuta politica iniziale con cui costruire capitale di fiducia. Il ritiro graduale delle truppe, se confermato, segnerebbe l’avvio di un disimpegno sul terreno che potrebbe creare spazio a ulteriori intese, sostenute dalla pressione e dal patrocinio dei mediatori regionali e dall’ombrello politico dell’ONU.
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